AISTED NEWS

STABILIZZAZIONE - Navigare in sicurezza le onde del trauma - Premessa

PRESENTAZIONE DELL’EBOOK

di Camilla Marzocchi

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PREMESSA

Sin dall'inizio della pandemia da Covid19 (marzo 2020) AISTED ha intensificato il suo lavoro di rete tramite i molti gruppi di lavoro che la compongono. I 2 Ebooks editati e pubblicati a partire da maggio 2020 (di cui questo è il secondo componente), sono la parte visibile e disponibile all'esterno di molto altro lavoro che la Associazione continua a fare, ogni giorno, tramite il confronto tra i quasi 200 specialisti di stress e trauma che la compongono.

Durante l'ultimo anno abbiamo navigato una realtà strana e completamente nuova, senza precedenti nel nostro tempo e senza nessun punto di riferimento. Durante tutto il 2020 abbiamo attraversato una fase acuta di stress caratterizzata da ansia, incertezza, minaccia e grande smarrimento, cui è seguito un graduale e curioso adattamento, una crescita post-traumatica che ci ha mostrato nuove risorse, opportunità, idee fino ad un graduale ritorno alla calma e alla sicurezza o almeno a quella che abbiamo pensato fosse tale. Poi in autunno di nuovo siamo entrati in una fase di stress acuto, più lungo e spaventoso del precedente, di nuovo costellato di paure, lutti, mancanza di prospettive e perdita (di nuovo!) di punti di riferimento e allora il nostro sistema emotivo ha iniziato a vacillare, ad accusare lo stress di tutti i mesi in cui abbiamo “tenuto insieme” noi stessi, le nostre famiglie e l'emergenza tutta  intorno.

In questa seconda fase emotiva, abbiamo perso la reattività traumatica che avevamo inizialmente e la mente ha lasciato spazio più spesso a stati di ipoattivazione e resa: la “pandemic fatigue”, la sindrome da rassegnazione, depressione, spesso nei più giovani un rifiuto del cibo, della socialità e un ritiro dalla vita. La mente umana è fatta per sopportare bene lo stress, anche quando acuto e persistente, anche quando il dolore fisico e emotivo appaiono insopportabili, ma abbiamo pur sempre dei limiti fisiologici, emotivi, somatici, mentali che è necessario conoscere e ri-conoscere per navigare al meglio le situazioni difficili. Sapere come alimentare, in una parola, la nostra personale Resilienza. L'adattamento post-traumatico è fatto per tutti noi di onde alte di grande attivazione, reattività, lotta e onde molto basse di disattivazione, spegnimento, resa. É importante sapere come atterrare dalle onde alte e come risalire da quelle basse, ma soprattutto è centrale per ognuno di noi trovare un modo da mantenerci sulla superficie del mare, surfando sulle onde mentre siamo saldi in equilibrio, senza opporci al movimento ma guardando sempre avanti. Da qui nascono i contributi di questo secondo E-book AISTED (qui è possibile consultare la prima Edizione), che speriamo possa raggiungere colleghi, operatori e cittadini in difficoltà, con l'obiettivo di offrire strumenti di riflessione ed esercizi pratici da seguire ogni giorno per mantenere, ora e per il futuro, un buon equipaggiamento utile a navigare al meglio in ogni momento, a partire da una maggiore consapevolezza di ciò che alimenta la nostra capacità di adattamento.

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Pat-factor e 25 Novembre: una riflessione sul nostro sguardo di terapeuti/e

Women Empowerement

Pat-factor e 25 Novembre:

una riflessione sul nostro sguardo di terapeuti/e

 

di Chiara Bellardi e Annalisa Di Luca

 

Eccoci di nuovo al 25 novembre, Giornata Internazionale per il contrasto alla Violenza sulle Donne.

Le donne rappresentano circa la metà della popolazione globale, ed è difficile quindi pensare si tratti di una minoranza da proteggere. Eppure il fenomeno della violenza alle donne appare molto significativo in tutte le parti del mondo e nel nostro paese anche in questo 2022 ha segnato irrimediabilmente una crescita del fenomeno.

Per contrastarlo da tempo appare necessario dare risposte articolate che affrontino la questione secondo un approccio integrato, capace di mettere in campo strategie e interventi di diversa natura.

Interventi di vario tipo, non limitati alla cura della vittima o all’inasprimento delle pene a carico dell’autore della violenza. La repressione è necessaria, ma da sola non basta. Oltretutto, la punizione – indubbiamente indispensabile, anche per l’effetto deterrente che può esercitare quando è dotata di efficacia e di effettività – in ogni caso interviene dopo che la violenza ha avuto luogo e deve essere affiancata da altre misure che abbiano la capacità di prevenire la violenza o comunque di snidarla prima che si manifesti in tutta la sua brutalità.

Realizzare interventi culturali e formativi vuol dire acquisire una maggiore sensibilità, una capacità di lettura e riconoscimento del problema, divulgare la cultura di genere, per combattere gli stereotipi, per educare i giovani al concetto di parità e pari opportunità.

E come operatori della salute mentale possiamo fare qualcosa? Ci sentiamo sempre capaci di riconoscere la violenza anche quando è un fenomeno intimo nell’individuo e nella coppia?

A questo proposito abbiamo pensato di intervistare una collega e socia AISTED, Chiara Bellardi, psicoterapeuta e psicotraumatologa, perché possa raccontarci la sua esperienza di donna e professionista pat-informed, ovvero, teoricamente consapevole dell’impatto della cultura patriarcale.

L’abbiamo intervistata per parlarci della fatica a riconoscere alcune insidie culturali generatrici di ritardi nell’acquisizione di prospettive più equilibrate, insidie che sono espressione evidente delle resistenze e della difficoltà di evoluzione nel nostro Paese. Un immaginario patriarcale che può rappresentare ancora oggi la radice delle asimmetrie tra i sessi e, di conseguenza, della violenza di genere.

Quell’immaginario patriarcale non è più presente nelle leggi, nei codici e nella giurisprudenza, ma ha lasciato segni profondi ed evidentemente continua a sopravvivere nei comportamenti di molti uomini e in modo insidioso e inconsapevole anche delle donne.

 

Ecco l’intervista

So che partecipi a questo gruppo di ricerca/ confronto: in cosa consiste?

Nell’autunno del 2021, in seguito al convegno SITCC intitolato Le sfide del Cognitivismo nel Terzo Millennio, assieme ad altre colleghe che hanno portato contributi riconducibili al patriarcato o che sono impegnate a vario titolo sul tema, abbiamo iniziato a trovarci regolarmente ed informalmente per riflettere sullo stato dell’arte in termini di consapevolezza del fenomeno del patriarcato in ambito psicologico e psicoterapeutico. Il nome del gruppo Genera17, emblematizzato dal numero 17, oggetto di stigma per antonomasia, indica l’approccio generativo e di apertura dello stesso, volto ad ampliare le prospettive ed andare oltre la parzialità dei pre-giudizi in senso lato.

 

Perché parlare di "patriarcato" può essere importante per un terapeuta o operatore sanitario?

Siegel e Payne Bryson nel loro libro 12 Strategie per favorire lo sviluppo mentale del tuo bambino ci parlano dell’importanza del “nominare per dominare” al fine di promuovere il cambiamento degli stati mentali. Veniamo da duemila anni di narrazioni gender-based e iniziare ad approfondire la questione potrebbe essere di aiuto per avere una visione più oggettiva della situazione. Basta pensare anche solo ai numeri. Le donne sono metà parte del mondo. Spesso le psicoterapeute sono donne, spesso gli autori in letteratura psicologica sono uomini e di sovente si parla “delle pazienti”. Parlare di minoranza artificiosa, come viene tecnicamente definita quella delle donne, o di impatto del patriarcato per le professionalità sanitarie può essere utile per ampliare le griglie ermeneutiche, ovvero le lenti di lettura, con le quali ci approcciamo alla nostra professione e alle persone che abbiamo di fronte nella nostra quotidianità lavorativa e non solo.

 

Le persone vittime di violenza vivono spesso con vergogna e senso di colpa i fatti accaduti, e queste emozioni sembra attingano forza e “ragione” dal vissuto di esclusione versus appartenenza alla collettività. Nella tua esperienza che impatto hanno i Pat-factor su una persona traumatizzata e perché può entrarci con gli aspetti post-traumatici e con la dissociazione?

Io non ho risposte definitive, ma posso condividere il fatto che nell’attività clinica sono sempre stata aiutata dalla possibilità di poter attingere a una formulazione del caso che restituisca alla persona un’immagine del proprio funzionamento il più possibile integrata, nella quale potersi riconoscere sia in termini di limiti che di risorse. Per esempio, ho fatto questa esperienza di arricchimento del mio bagaglio di formulazioni del caso, utilizzando il costrutto del Disturbo da Stress Post traumatico Complesso, che permette di cogliere non solo negli eventi traumatici ma in uno sviluppo traumatico nell'infanzia le radici della sofferenza della persona nel presente. Per questo motivo mi domando come sarebbe se avessimo a disposizione anche formulazioni che tengano conto di come duemila anni di narrazioni gender-based possano avere avuto un impatto sia nel modo di descrivere la psicopatologia che nel modo di proporre interventi. I filosofi della scienza ci hanno insegnato che la scienza procede per falsificazioni di ipotesi e cambi di paradigma. Quindi mi domando perché non si possa tentare di approfondire la questione anche in sede di salute mentale, così come in parte si è fatto (vedasi, tra gli altri, il lavoro della psicologa statunitense Carol Gilligan, autrice del libro Con voce di donna) o come si sta tentando di fare da tempo in altre discipline quali la linguistica (Alma Sabatini), la filosofia del diritto (Joan Tronto) e la revisione della storia dell’uomo primitivo. Per tornare alla domanda, penso che ogni professionista opportunamente formata/o sia in grado di riconoscere franche esperienze traumatiche (es. violenza domestica), ma non so quanto si sia in grado oggi di riconoscere i fattori di mantenimento della eventuale traumatizzazione, che spesso impediscono il cambiamento e l’utilizzo di strategie più funzionali di comportamento.

 

In occasione della giornata contro la violenza sulle donne, perché ritieni significativo parlare di questo e cosa ritieni importante che rimanga in noi professionisti e non solo?

Venendo oggettivamente da almeno duemila anni di narrazioni gender-based, penso sarebbe utile andare oltre il derubricare certe situazioni in termini di bias culturali. Penso potrebbe essere proficuo iniziare a rileggere i casi attraverso le lenti del patriarcato e notare se esistono co-occorrenze in termini di schemi, credenze, reazioni automatiche di difesa, difficoltà nell’esprimere le emozioni, difficoltà nel gestire specifiche espressioni emotive piuttosto che altre, comportamenti passivi o aggressivi, somatizzazioni, silenzi, mutismi selettivi.

In primis penso sarebbe molto utile interrogarci rispetto agli schemi, agli archetipi, alle aspettative che abbiamo noi professioniste e professionisti della salute mentale, innanzi tutto in termini linguistici e di considerazione del lavoro di cura, spesso appannaggio del cosiddetto “secondo sesso”, per citare l’autrice femminista Simone de Beauvoir. Per esempio, ritengo sia utile pensare alla discrepanza che spesso si incontra nelle professioniste e nei professionisti tra l’essere al corrente del potere del logos, del potere performativo delle parole, del politically-correct e le reazioni infastidite rispetto alle desinenze in -a, agli asterischi e alle shva, ovvero la desinenza inclusiva (ə) che ancora non si trova in tutti i programmi di videoscrittura. Da dove arriva tutto questo fastidio? Quando ci troviamo di fronte a casi di soggetti in età evolutiva con problematiche, o alle cosiddette famiglie problematiche, penso sia altresì importante interrogarci sull’impatto del lavoro di cura all’interno del nucleo familiare sia esso coerente o incoerente con lo stereotipo e alle possibili conseguenze. In estrema sintesi, penso sia molto importante interrogarci sul nostro livello di patriarcato interiore, o meglio interiorizzato in modo implicito attraverso l'esperienza cognitiva-emotiva-e-somatica, soprattutto se siamo donne, perché da sempre questo costituisce, a mio avviso, la forma di patriarcato più insidiosa.

Visti i millenni di narrazioni di un certo tipo e i secoli di talking-cure, penso sia altresì importante esplorare sempre di più tutti gli interventi svincolati dalla parola e più legati al corpo che potrebbe costituire un grande alleato sia in termini di descrizione del malessere che di possibile intervento.

In conclusione, penso che fare una revisione della nostra situazione di “gettattezza”, ovvero, il trovarsi a nascere in un determinato corpo e in una determinata cultura potrebbe aiutarci a con-siderare i fenomeni ( e la violenza in primis) da una prospettiva più ampia. Ritengo che tentare di enucleare e nominare i Pat-factor potrebbe arricchire la nostra cassetta degli attrezzi, aiutando ad esplicitare certi fenomeni ed eventualmente a diminuire il numero delle Cadute del 25 Novembre.

 

Bibliografia:

 

  • AA.VV., (2017), Il sessismo nella lingua italiana. Trent’anni dopo Alma Sabatini, Blonk Editore.

  • Demurtas P., Misiti M., (2021), La violenza contro le donne in Italia, Guerini scientifica.

  • Gilligan C., (1991), Con voce di donna, Feltrinelli.

  • Sabatini A., Il sessismo nella lingua italiana. Istituto poligrafico e zecca dello stato, Roma, 1987.

  • Siegel D., Payne Bryson T., (2012), 12 Strategie rivoluzionarie per lo sviluppo mentale del bambino, Raffaello Cortina Editore.

  • Pathou-Mathis M, (2021), La preistoria è donna. Una storia dell’invisibilità delle donne. Giunti editore.

  • Romito P., (2011), La violenza di genere su donne e minori, Franco Angeli.

  • Sassaroli et al., (2015), Autonomy and Submissiveness as cognitive and cultural factors influencing eating disorders in Italy and Sweden. Europe’s Journal of Psychology.

  • Tronto J., (2006) Confini morali, Diabasis.

  • Volpato C., (2019), Le radici psicologiche della disuguaglianza, Laterza.


 

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Too much of Nothing: le ferite della trascuratezza e i diritti di ogni bambino, 20 Novembre 2022

20 Novembre 22

Too much of Nothing:

le ferite della trascuratezza e i diritti di ogni bambino

di Camilla Marzocchi

 

da “Working with the Developmental Trauma of Childhood Neglect”

di Ruth Cohn (Routledge, 2022)

 

20 nov – La Giornata mondiale dell’Infanzia è stata istituita per la prima volta nel 1954 come Giornata universale del bambino e viene celebrata il 20 novembre di ogni anno per promuovere la solidarietà internazionale, la sensibilizzazione dei bambini in tutto il mondo e il miglioramento del loro benessere.

Il 20 novembre è una data importante anche perché nel 1959 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la Dichiarazione dei Diritti del Bambino. Trent’anni più tardi, nel 1989, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la Convenzione sui diritti del fanciullo.

Come Associazione AISTED siamo profondamente connessi a questa giornata, che esprime un obiettivo centrale per tutti noi che lavoriamo sugli effetti del trauma e della dissociazione sulla popolazione: l'importanza di occuparci della radice della vita umana, l'infanzia, come fattore preventivo e predittivo per lo sviluppo emotivo di ogni adulto che abiterà il mondo e di ogni paziente che busserà alla nostra porta.

I segni della traumatizzazione cronica, della trascuratezza e della violenza infantile hanno un'onda lunga nella nostra società, ne abbiamo prove neuroscientifiche inconfutabili da decenni e siamo (dovremmo) essere più preparati a coglierne i segni a tutti i livelli dello sviluppo: nei bambini, negli adulti, nelle nostre comunità di appartenenza.

Il ciclo della violenza tende a ripetersi tra le generazioni e si nutre di molte variabili, di cui la più importante è la cecità nel coglierne le condizioni che la favoriscono e la alimentano.

Dall'esperienza clinica è spesso molto evidente, ma non sempre facile da cogliere: non c'è abuso e violenza senza una profonda trascuratezza che ne crei le condizioni. Non c'è evento avverso o trauma che non nasca dall'aver ricevuto poca o nulla attenzione, cura, supporto. La trascuratezza emotiva crea dunque la condizione di rischio più determinante, non solo perché le violenze e gli abusi avvengano, ma soprattutto perché continuino ad essere reiterati senza alcun monitoraggio, causando una traumatizzazione cronica estremamente più difficile da riparare e curare nell'adulto.

Ogni bambino sarebbe più al sicuro, tra adulti capaci di riconoscerne i segnali di stress, dolore, paura. Ogni adulto della sua vita è importante per cambiare la traiettoria del suo sviluppo: genitori, familiari, sanitari, insegnanti, educatori, vicini di casa, i servizi, la comunità tutta.

Un proverbio africano recita: “per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio.

A questo proposito, il libro di Ruth Cohn offre una lettura sensibile e profonda, utile a cogliere questi segnali di trascuratezza, spesso nascosti per effetto stesso della trascuratezza ricevuta: l'abitudine ad essere invisibili.

Ogni bambino trascurato (e l'adulto che sarà) non saprà leggere in modo efficace le proprie emozioni, i propri bisogni e i propri desideri, ma soprattutto non saprà riconoscere e difendere in modo chiaro e inequivocabile i propri diritti nel mondo, i diritti di nascita e dunque il suo stesso valore come essere umano.

 

La prima regola del mondo

L'esperienza primaria di attaccamento in questi bambini è spesso il fallimento del rispecchiamento emotivo (mirroring), sin dai primissimi momenti di vita.

Un sguardo amorevole, sintonizzato e capace di rispondere in modo flessibile, costante ed efficiente ai bisogni fisici, emotivi e di sopravvivenza. Il contatto oculare è perciò la prima fonte di “salvezza” che abbiamo, la prima condizione che ci garantisce la vita, dunque l'assenza di questo sguardo crea un istantaneo e precoce stato di allarme che non possiamo in nessun modo affrontare. Ecco la primissima esperienza emotiva, fisiologica, interna di “non meritare attenzioni”, in una fase in cui ne avremmo pienissimo e totale diritto per sentirci vivi.Tali esperienze, quando non vengono mai riparate, creano un'immediata risposta fisiologica: il rifiuto è la prima regola del mondo e diventa parte integrante del funzionamento di base di quell'individuo, quello cioè che si aspetterà da ogni futura esperienza di relazione.

Segnali e marcatori cui prestare attenzione

La fiducia in se stessi non è in questi casi una scelta, ma l'unica opzione, un meccanismo di sopravvivenza contro la disperazione della solitudine e diventa per questo un motivo di orgoglio per se stessi. Ecco il primo segnale di trascuratezza: bambini eccessivamente capaci di badare a loro stessi, particolarmente fieri di gestire autonomomente bisogni primari della loro vita, spiccatamente capaci di cogliere i bisogni degli adulti intorno a loro e di occuparsene attivamente, ogni giorno. La fatica soverchiante di fare questo, viene compensata da sentimenti estremi di orgoglio nell'adulto del futuro, che sarà incline all'autosufficienza “feroce”, a disconoscere i propri bisogni interpersonali e che faticherà a chiedere aiuto se non in casi estremi di malessere. Un genitore in difficoltà e sopraffatto, come farà a chiedere aiuto se è stato a sua volta trascurato? Un bambino iper-responsabile genererà abbastanza preoccupazione e allarme?

Per un bambino ed un adulto tenacemente autonomi e indipendenti, il dovere sarà un elemento centrale, mentre potrebbe essere difficile per esempio rispondere a domande dirette sulle proprie emozioni, preferenze, bisogni, desideri. Per qualcuno addirittura spiacevole o soverchiante: è possibile però riconoscere nei “tempi lenti” di risposta e nel “ritmo interrotto” di un dialogo intimo e personale, un secondo segnale di trascuratezza nell'infanzia. A partire dall'idea del fallimento primario del rispecchiamento emotivo, c'è una ragione fisiologica che ci spiega questo: l'interruzione della comunicazione tra cervello-destro del caregiver e cervello-destro del bambino rende questi bambini sotto-stimolati nell'emisfero destro che più dovrebbe invece permettere di accedere all'esperienza emotiva e soggettiva (Schore, 2016). Il risultato esterno e visibile, nel bambino e nell'adulto, è una maggiore lentezza, indecisione, titubanza e talora blocco nel rispondere alle domande personali, poiché accedere a questo flusso di informazioni su di sé è stato poco sviluppato, o inutile o addirittura rischioso. E' molto facile che questo venga etichettato come timidezza, chiusura, disinteresse, se non c'è la curiosità di approfondire questo segnale, dando lo spazio e i tempi “giusti” per esprimersi resterà solo l'etichetta, privata della sua storia.

Direttamente collegato a questo tratto, la totale assenza - nel bambino e poi nell'adulto - di un vocabolario emotivo di base (alessitimia) è un terzo segnale che ci deve incuriosire. Spesso questa difficoltà estrema viene nascosta da una risposta stereotipata, rapida e automatica ad ogni domanda che riguardi il proprio mondo interno: “Non lo so!”Essere soli con le proprie emozioni, soprattutto se soverchianti come la paura e il terrore, comporta lo sviluppo di un meccanismo di distacco cronico da esse e genera l'impossibilità di verbalizzarle. Come potrebbe verbalizzare di essere spaventato o in pericolo, un bambino che non conosce le parole per esprimerlo?

Spesso la forma del neglect assume invece forme positive, ma altrettanto importanti da cogliere in un bambino o in un adulto che ci chiede aiuto: una storia della propria infanzia completamente idilliaca, perfetta, priva di qualunque sfumatura negativa, costellata esclusivamente di ricordi felici, di serenità e amore (quarto segnale). Soprattutto se questa narrazione viene accompagnata - nel bambino come nell'adulto - da difficoltà manifeste nel dare fiducia agli altri o nel chiedere aiuto, elevata auto-critica, difficoltà nel prendersi cura di sé, dovrebbe incuriosirci anziché affascinarci. Il contatto con l'idealizzazione può essere contagioso, ma di fronte ad una richiesta di aiuto è importante coltivare il dubbio: come mai l'esperienza di così tante risorse positive, non ha portato a sviluppare un'adeguata sicurezza e piena fiducia nel mondo e negli altri?

E infine, quando fallisce cronicamente l'esperienza di ricevere aiuto e supporto, di essere guidati e protetti, di essere accompagnati e non soli nelle sfide della vita, il bambino e poi l'adulto non penseranno più che avere bisogni interpersonali sia naturale e inevitabile per la nostra specie. Al contrario “So tutto quello che mi serve sapere”, sempre e in ogni circostanza, diventa allora un quinto segnale importante da cogliere: l'acuta capacità di analisi sviluppata in assenza di qualunque tipo di supporto e guida, diventa una zattera per non andare alla deriva e porta spesso a costruire un complesso e personale sistema di valori, manchevole però di informazioni adattive di base e di un efficace confronto con la realtà esterna. Chi avrebbe voglia di dialogare con un bambino o con un adulto che sa sempre tutto e che ha sempre la risposta pronta per ogni cosa? Di nuovo è importante osservare questi segnali ed esserne curiosi, senza giudizio e con sguardo attento.

Spesso approfondire con compassione, empatia o aperta curiosità questi segnali potrebbe aiutare a intercettare quello che si nasconde appena dietro la loro forma esterna: un mondo di solitudine e una profonda mancanza di senso verso le più semplici esperienze della vita, in cui nonostante le difese attivate per sopravvivere, i pensieri e i dubbi su di sé prendono piede ogni giorno. “Chi sono?”, “Vado bene?”, “Sto facendo abbastanza?”: la primissima sensazione di rifiuto, continua a fare eco nell'adulto, così come i dubbi costanti sulla proprio diritto di essere nel mondo e di esserci con dei bisogni e delle domande fondamentali cui gli altri ci devono aiutare a rispondere (sesto segnale). Molto importante cogliere in questa ruminazione ricorsiva dell'adulto, l'isolamento del bambino che è stato.

L'invito di Ruth Cohn è di leggere tra le righe, con sensibilità e coraggio, restando focalizzati nell'esperienza presente e incarnata dei racconti, oltre le parole, ponendo al centro e umilmente le nostre impressioni, esperienze di vita e storie personali per sintonizzarci con questi segnali che altrimenti resteranno inascoltati, perché sono semplicemente nati a questo scopo: garantirsi la protezione dell'invisibilità.

 

Note bibliografiche:

Cohn Ruth, Working with the Developmental Trauma of Childhood Neglect. Using Psychotherapy and Attacchment Theory Techniques in Clinical Practice. Routledge, 2022.

Schore Allan, Affect Regulation and the Origin of the Self: the Neurobiology of Emotional Development. New York, Routledge, 2016.

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Buone Vacanze E Prossimi Appuntamenti!

Buone Vacanze 2022 - Prossimi Appuntamenti

Carissim* soc*,

nel ringraziarvi per la vostra partecipazione agli incontri e alle occasioni associative di questo intenso 2022, vi auguriamo di trascorrere delle serene vacanze e anticipiamo qui qualche informazione sulla ripresa di settembre con Prossimi Eventi Patrocinati e Gruppi di lavoro!

 

Prossimi Eventi e Corsi Patrocinati

 

Gruppi di lavoro: Save the date!

  • Gruppo Forense Venerdì 23 settembre ore 20.30 

  • Gruppo Infanzia Adolescenza Domenica 2 Ottobre 2022 ore 17,00-19,00 

  • Gruppo Web/Comunicazione 6 Ottobre, 8 Novembre, 15 Dicembre ore 21,00

  • Gruppo Ricerca Giovedì 20 Ottobre alle 20,30 e Laboratorio DBR (Deep Brain Re-orienting) alle 21,30

Violenza assistita: una ricerca osservazionale in Pronto Soccorso pediatrico

Caleb-Woods-unsplash

La prevalenza dei bambini che riportano violenza assistita

in un pronto soccorso pediatrico

Prevalence of children witnessed violence

in a pediatric emergency department

di Federica Anastasia,1 Luisa Cortellazzo Wiel,corresponding author1 Manuela Giangreco,2 Giuliana Morabito,3 Patrizia Romito,1 Alessandro Amaddeo,2 Egidio Barbi,1,2 and Claudio Germani2

1University of Trieste, Piazzale Europa 1, 34127 Trieste, Italy
2Institute for Maternal and Child Health – IRCCS Burlo Garofolo, Trieste, Italy
3Santa Maria Degli Angeli Hospital, Pordenone, Italy

 

Pubblichiamo e diffondiamo i risultati di una interessante ricerca condotta dalla collega e socia AISTED Federica Anastasia, e  pubblicata lo scorso 19 Aprile sullo European Journal of Pediatrics, grazie al gruppo di ricerca dell'Università di Trieste e in collaborazione con l'IRCCS Burlo Garofalo e l'Ospedale di Santa Maria degli Angeli di Pordenone.  I dati che ci colpiscono come Associazione coinvolta nel trattamento di disturbi trauma correlati, soprattutto quando esitano da esposizione a traumatizzazione cronica durante l'infanzia, riguardano i numeri altissimi di prevalenza di violenza assistita in famiglia in cui il 43% delle donne intervistate hanno riportato esperienze di violenza domestica e abusi in famiglia e in cui i figli delle donne vittime di violenza mostrano segnali chiari di alterazione dello stato psicologico ed emotivo (38,7%) e disturbi del sonno (26,9%). Se pensiamo ai due anni passati e all'isolamento vissuto dalle famiglie, spaventa l'idea di quanti bambini possano aver vissuto la loro casa come una trappola, priva di elementi di sicurezza all'interno e in un mondo esterno in emergenza che non ha potuto monitorare, né intervenire in situazioni di pericolo o allarme prolungate. La conoscenza neuroscientifica ci ha ormai insegnato che vivere uno stato di emergenza prolungato, in una fase di sviluppo precoce, può danneggiare in modo grave lo sviluppo emotivo del bambino e condizionare in modo profondo la sua traiettoria di sviluppo e la sua vita come adulto. Perciò questi dati riguardano tutti noi e il futuro della nostra società, perché non mettere luce sull'impatto della violenza intrafamiliare, significherà in futuro non saper leggere, né intervenire sulla sofferenza psicologica che le famiglie e i bambini in primis, e gli adolescenti e adulti poi, porteranno alla nostra attenzione di clinici nei prossimi mesi e anni. La psicopatologia che emergerà da queste esperienze traumatiche prolungate, esacerbate dalla pandemia, necessiterà invece di una osservazione puntuale e di interventi mirati trauma-informed, che aiutino a collegare i sintomi che emergeranno anche a distanza di molto tempo a queste esperienze traumatiche e precoci vissute in famiglia. Le esperienza di paura prolungate e "senza sbocco" come quelle vissute in casa, possono più di ogni altra esperienza causare sintomi dissociativi e malessere significativo proprio per la qualità dell'esperienza in sé: se il luogo deputato a offrire sicurezza e protezione diventa invece luogo di pericolo e di minaccia, la possibilità di ripristinare nella mente e nel cervello uno stato di calma e sicurezza può arrivare, insieme ai sintomi, dopo molti anni dall'inizio della violenza.

 

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Abstract: 

"La violenza assistita è una forma di abuso sui minori con effetti dannosi sul benessere e sullo sviluppo del bambino, il cui riconoscimento si basa sulla valutazione dell'esposizione della madre alla violenza del partner intimo (IPV). Lo scopo di questo studio era di valutare la frequenza della violenza assistita in una popolazione di bambini ricoverati in un Pronto Soccorso Pediatrico (ED) in Italia, ricercando l'IPV nella madre, e di definire le caratteristiche delle diadi madre-bambino. Uno studio trasversale osservazionale è stato condotto da febbraio 2020 a gennaio 2021. Alle madri partecipanti è stato fornito un questionario, che includeva lo strumento di screening degli abusi sulle donne (WAST) e ulteriori domande sui dati di riferimento e sulla salute. L'analisi descrittiva è stata riportata come frequenza e percentuale per le variabili categoriali e mediana e interquartile range (IQR) per le variabili quantitative. Le madri e i bambini risultati positivi e negativi allo screening per IPV e testimoni di violenza, rispettivamente, sono stati confrontati dal test del chi quadrato o dal test esatto di Fisher per le variabili categoriali e dal test di Wilcoxon-Mann-Whitney per le variabili continue. Su 212 madri partecipanti, novantatré (43,9%) hanno mostrato un WAST positivo. Le madri risultate positive erano principalmente italiane (71%, p 0,003), avevano un livello di istruzione più basso (età media all'abbandono scolastico 19, p 0,0002) e una maggiore frequenza di disoccupazione (p 0,001) e uno stato di salute personale precario (8,6% , p 0,001). I figli delle madri risultate positive hanno mostrato una maggiore incidenza di stato psicologico-emotivo anormale (38,7%, p 0,002) e disturbi del sonno (26,9%, p 0,04)."

 

Introduzione: 

Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), gli abusi sui minori sono tra i principali problemi di salute pubblica a livello mondiale, rappresentano una delle principali cause di morte dei bambini nei paesi ad alto reddito e si stima che siano ampiamente sottovalutati [1]. Le sue conseguenze sul benessere del bambino possono essere sia dirette (vale a dire lesioni fisiche o morte [2]) che indirette, esponendo il bambino a un rischio maggiore di sviluppare disturbi psicologici, comportamentali, sociali e medici [3].

La violenza assistita è una forma di abuso sui minori, consistente nell'esperienza del minore di qualsiasi tipo di maltrattamento nei confronti dei suoi genitori/tutori/familiari e può essere diretta (se il maltrattamento avviene in presenza del minore) o indiretta (se il bambino è consapevole del maltrattamento e ne percepisce gli effetti acuti/cronici, fisici/psicologici).

Il riconoscimento dei bambini vittime di violenza richiede la valutazione preventiva dell'esposizione delle loro madri alla violenza del partner intimo (IPV), definita dall'OMS come un "comportamento all'interno di una relazione intima che provoca danni fisici, sessuali o psicologici, inclusi atti di aggressione fisica , coercizione sessuale, abuso psicologico e comportamenti di controllo” commessi da un partner attuale o precedente [4]. Secondo i rapporti dell'OMS, una donna su tre è sottoposta a IPV ed è stato stimato che tra i bambini che vivono in famiglie in cui si verifica l'IPV, l'85% è testimone diretto di violenza e fino alla metà subisce forme dirette di abuso, principalmente dal padre o da qualsiasi altro membro maschio della famiglia [5]. Un'indagine europea ha mostrato che il 19% delle donne italiane subisce abusi fisici o sessuali dal proprio partner e che il 38% subisce ripetuti maltrattamenti psicologici [6]; tra le donne maltrattate, il 65% rivela che i propri figli hanno assistito a uno o più episodi di violenza [7].

L'esposizione all'IPV non solo ha effetti deleteri sul benessere del bambino e sullo sviluppo cognitivo e socio-emotivo [8], ma influisce negativamente anche sui comportamenti e le relazioni nell'età adulta: ragazzi e ragazze che subiscono violenza domestica contro la madre sono maggiormente a rischio di perpetuare comportamenti aggressivi ed essere vittime di violenza domestica più avanti nella propria vita, rispettivamente, impegnandosi nella cosiddetta perpetuazione intergenerazionale della violenza [9].

Sebbene l'OMS attualmente raccomandi lo screening per l'IPV durante la gravidanza [10], non esiste alcun accordo sull'adeguatezza delle valutazioni di routine dell'IPV postpartum. Tuttavia, sulla base degli effetti dannosi dell'IPV sui bambini, l'American Academy of Pediatrics ha sostenuto lo screening dell'IPV in ambito pediatrico, approvando l'abuso delle donne come un problema pediatrico [11].

Gli operatori sanitari sono generalmente in una posizione privilegiata per indagare sull'IPV; il pronto soccorso (DE) rappresenta un ambiente ideale per rilevare abusi e intraprendere azioni contro di essi [12]. Studi sulla salute delle donne hanno dimostrato che le vittime di violenza domestica si rivolgono più spesso al medico in strutture di pronto soccorso rispetto agli appuntamenti programmati con gli operatori sanitari, a causa delle preoccupazioni relative al rinvio ai servizi sociali e/o perché incapaci di negoziare con l'aggressore qualsiasi altra forma di accesso a strutture sanitarie per sé e per i propri figli [13]. Il PS pediatrico, dove le madri cercano l'attenzione con i propri figli spesso in assenza del partner, offre un'opportunità unica per coinvolgere le diadi madre-bambino in indagini di ricerca, in conformità con le linee guida internazionali sulla ricerca sulla violenza contro le donne e i bambini [14] , 15]. Finora solo due studi hanno indagato l'IPV in ambito pediatrico, trovando una prevalenza che varia dall'11 [16] al 52% [17].

Lo scopo di questo studio era di valutare l'incidenza della violenza assistita in una popolazione di bambini che frequentano un PS pediatrico, indagando la prevalenza dell'esposizione all'IPV tra le loro madri e di definire le caratteristiche demografiche e cliniche delle diadi madre-bambino. ....CONTINUA A LEGGERE QUI!

 

*** ***

Come Associazione AISTED sosteniamo e promuoviamo l'importanza di sensibilizzare gli operatori sanitari alle linee guida trauma-infomed, perché diventino un osservatorio prezioso nell'intercettare, segnalare e indirizzare al servizi competenti le situazioni di criticità che possono giungere nei servizi di Pronto Soccorso e nei reparti di emergenza pediatrica.

 

Anastasia, Federica et al. “Prevalence of children witnessed violence in a pediatric emergency department.” European journal of pediatrics, 1–9. 19 Apr. 2022, doi:10.1007/s00431-022-04474-z

Guerra in Ucraina: come spiegarlo ai bambini?

Materiale Psicoeducativo bambini e Crisi Ucraina

L'emergenza della guerra richiede un'attivazione sociale e di resilienza e riteniamo fondamentale fornire indicazioni utili per comunicare con i bambini e i ragazzi in un'ottica trauma informed. Come Associazione AISTED stiamo aprendo nei nostri gruppi di lavoro una riflessione sulla situazione emergenziale e su come la nostra professionalità possa essere messa al servizio dell'emergenza immediata e futura che ci troveremo ad accogliere.

In particolare nel Gruppo Infanzia, coordinato da Elena Simonetta, si è aperto uno spazio di condivisione di possibili strategie di intervento con i bambini, che stanno manifestando in modo dirompente disagio e paure a fronte dell'ennesimo evento che mette in scacco la possibilità degli adulti di offrire rassicurazioni adeguate verso eventi così enormi da comprendere ed elaborare.

Il materiale condiviso nel Gruppo di lavoro dalla socia AISTED, Laura Madonini ha permesso di mettere in luce questa necessità di trovare le parole adeguate per parlare di guerra e come Associazione AISTED siamo molto lieti di condividere e diffondere il suo lavoro, frutto della collaborazione con Cooperativa Sociale Il Mosaico ServiziCentro Come.Te - Centro Multiprofessionale per minori e famiglie e Save The Children.

 

TROVATE QUI IL PROGETTO E I MATERIALI CONDIVISI E

SCARICABILI GRATUITAMENTE

o i 3 opuscoli direttamente scaricabili in fondo a questa pagina! 

 

Questi 3 opuscoli contengono dei consigli pratici e riportano le reazioni post-traumatiche tipiche in un linguaggio chiaro e accogliente.

Il libretto per bambini e ragazzi (in italiano per il caregiver e in ucraino) racconta con illustrazioni comprensibili a tutti gli effetti emotivi, i comportamenti possibili in situazioni simili e offre suggerimenti pratici.

L'opuscolo "Scuola ed emergenza ucraina" contiene delle indicazioni per educatori e insegnanti, cosa si può fare in classe per stare meglio,cosa evitare e offre delle strategie di self-care per i docenti.

Infine, gli opuscoli per genitori in lingua russa e ucraina riportano consigli utili per gli adulti stessi e per la gestione dei figli in questo delicato momento in una cornice trauma-oriented.

 

Ringraziamo i colleghi impegnati nel rendere questa nuova emergenza meno traumatica e

più accettabile per tutti i bambini che in questo momento stanno soffrendo!

 

Il Direttivo AISTED

 

Ucraina: comunicato ESTD, 10 Marzo 2022

Photo by Piero Nigro on Unsplash

Ucraina

Come Associazione AISTED ci stiamo interrogando sull'impatto emotivo di questa guerra, sulla stanchezza di questa ulteriore fase emergenziale e sull'urgenza di esprimere come esperti di trauma la nostra partecipazione emotiva agli eventi che si stanno verificando in Ucraina.

Come Direttivo AISTED e Associazione sensibile agli effetti devastanti di questi tipo di trauma collettivo sulla salute psichica ed emotiva di intere popolazioni, sottoscriviamo il Comunicato ufficiale dell'ESTD, nostra appartenenza in Europa, sperando vivamente in una risoluzione rapida dei conflitti attraverso il ripristino del dialogo e della negoziazione.

Di seguito traduzione del testo integrale:

"Per poco più di una settimana siamo stati bombardati da informazioni sull'invasione russa dell'Ucraina. Una guerra in Europa.

I racconti delle vittime di questa violenza, le immagini, i video, ci ricordano che la sicurezza e la pace sono fragili e non si acquisiscono mai definitivamente. Molti ricordano le antiche paure della Guerra Fredda e i momenti peggiori della dominazione sovietica nei paesi dell'Est. Le storie dei nostri genitori, nonni o bisnonni che hanno descritto gli orrori della seconda guerra mondiale e che pensavamo appartenessero a un'epoca passata, ora sembrano far parte di una realtà possibile.

Come Associazione che rappresenta centinaia di professionisti che lavorano con persone traumatizzate in oltre trenta paesi europei, siamo molto preoccupati per la realtà dei nostri fratelli e sorelle ucraini. La violenza dei combattimenti sembra aumentare di giorno in giorno, le zone residenziali vengono bombardate e molti civili vengono smascherati. Molte persone moriranno e molte persone svilupperanno disturbi post-traumatici. Gli individui, le famiglie e la società civile nel suo insieme saranno profondamente colpiti e ci vorranno anni per riprendersi dalla guerra.

Siamo anche molto preoccupati per la salute mentale di questi (molto) giovani soldati russi inviati al fronte. Non sono preparati ad affrontare gli orrori a cui partecipano. Alcuni sono già morti, altri moriranno e altri non si riprenderanno mai.

In generale, condanniamo fermamente l'uso della forza per costringere individui o intere popolazioni ad aderire ad un sistema, un'ideologia, una cultura o una nazione. Siamo convinti che le diverse nazioni che popolano il continente europeo possano vivere in pace e prosperare a condizione che le specificità di ciascuna siano rispettate e che la comunicazione e gli scambi tra i singoli europei siano mantenuti e incoraggiati. Pertanto esortiamo i nostri leader a mantenere la comunicazione, negoziare e lavorare instancabilmente per trovare soluzioni per la pace.

Crediamo inoltre che questa guerra sia una manifestazione della dissociazione che l'Europa ha subìto dalla fine della seconda guerra mondiale, con la creazione della Cortina di ferro tra Oriente e Occidente. L'attuale conflitto sembra il tragico ultimo atto di un vecchio nostalgico appartenente ad un mondo passato, che sta cercando di pareggiare i conti prima di andarsene. Crediamo che la stragrande maggioranza dei cittadini europei, in Oriente e in Occidente, non voglia una guerra, né il ripristino di una cortina di ferro. Come associazione europea, sosteniamo la visione di un'Europa unita, dove i paesi dell'Est e dell'Ovest potranno determinarsi cooperando su progetti e un destino comune.

Ci auguriamo con tutto il cuore una rapida risoluzione di questo conflitto e ci mettiamo a disposizione di tutti i colleghi, in qualsiasi Paese d'Europa, che potrebbero aver bisogno di risorse per comunicare informazioni utili o per dare seguito alle numerose vittime della guerra.

Raphael Gazon, Psicologo Clinico, presidente dell'ESTD

Claire Harrisson-Breed, Psicoterapeuta dell'infanzia e dell'adulto
Dott.ssa Desiree Tijdink, psichiatra, M.D.
Maria Paola Boldrini, Psicologa Clinica
Dr Ellen K. K. Jepsen, psichiatra, MD, PhD
Prof. Igor Pietkiewicz Ph.D.
Dott.ssa Anca Sabau, Psichiatra, M.D.
Suzana Guedes, Psicologa Clinica, PhD
Lise Møller, Psicologa Clinica, PhD

ASSOCIAZIONE AISTED - Consiglio Direttivo

Giovanni Tagliavini, Presidente, Psichiatra Psicoterapeuta
Paola Bertulli, Vice Presidente, Psicologa Psicoterapeuta
Camilla Marzocchi, Segretario generale, Psicologa Psicoterapeuta
Paolo Ricci, Referente Ricerca, Psicologo Psicoterapeuta
Monica Romei, Referente Forense, Psicologa Psicoterapeuta
Elena Simonetta, Referente Infanzia, Psicologa Psicoterapeuta
Ilaria Vannucci, Referente SSN, Psichiatra Psicoterapeuta


 

Trauma da Trascuratezza o Neglect: di diritti negati e violenza nascosta, ancora poco (ri-)conosciuta

Autumn Child su Unsplash

di Caterina Visioli

Il contrario di amare non è odiare; il contrario di amare è trascurare 

(Anonimo)

 

30 anni dalla Convenzione sui diritti dell'Infanzia e Adolescenza

Lo scorso 20 Novembre si sono celebrati i 30 anni dalla nascita della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e Adolescenza, un documento di grande rilevanza poiché ha riconosciuto i principi fondamentali per la tutela del benessere dei più piccoli. Esso risulta a tutt’oggi il trattato in materia di diritti umani con il maggior numero di ratifiche. Vi hanno aderito infatti 196 Stati compresa l’Italia, che ha ratificato la Convenzione il 27 maggio 1991, con la legge n.176.

Questa ricorrenza rappresenta un’occasione per riflettere sul benessere di bambini e adolescenti, alla luce delle più recenti evidenze della letteratura su cosa favorisca e limiti il loro sano sviluppo, e del periodo attuale legato all’emergenza sanitaria da Covid-19, in cui stiamo assistendo a un consistente aumento dei segnali di disagio nella fascia più giovane della popolazione. Questa sofferenza, spesso facilmente sommersa e non riconosciuta, sta risultando oggi visibile non tanto “a causa” della pandemia e delle relative limitazioni, ma principalmente poiché l’accumulo di stress che minori e famiglie stanno vivendo negli ultimi mesi la sta facendo emergere, portandoci a riflettere seriamente su quanto sia diffusa.

La Convenzione stabilisce i principi di:

  1. non discriminazione («i diritti sanciti dalla Convenzione devono essere garantiti a tutti i minori senza distinzione di razza, sesso, lingua, religione»); 
  2. superiore interesse del minore «in ogni legge, provvedimento, iniziativa pubblica o privata e in ogni situazione problematica»; 
  3. diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo
  4. ascolto delle opinioni del minore «in tutti i processi decisionali che lo riguardano, e il corrispondente dovere, per gli adulti, di tenerne in adeguata considerazione le opinioni»

Fra questi, gli ultimi due stimolano in particolare la nostra riflessione, in quanto sottolineano l’importanza del sostegno pratico ed emotivo – ovvero del diritto alla tutela, alle cure e alla sicurezza per il sano sviluppo dei bambini, aiutandoci a comprendere il rischio legato alla trascuratezza di questi aspetti.

Sappiamo che la violenza sui minori è un’emergenza a livello di salute pubblica e di diritti umani e che un miliardo di bambini (la metà nel mondo) ne sono vittima ogni anno. L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce maltrattamento infantile “l’abuso e la trascuratezza rivolta a minori di 18 anni. Esso include tutti i tipi di maltrattamento fisico e/o emotivo, abuso sessuale, trascuratezza, negligenza e sfruttamento, che porti a un danno presente o futuro per la salute, la sopravvivenza, lo sviluppo o la dignità del bambino, che avvenga all’interno di una relazione significativa di responsabilità, fiducia o potere”. Come sottolinea Teicher, illustre esperto sull’argomento, questa definizione evidenzia un aspetto cruciale da tempo riconosciuto in ambito clinico e di ricerca, ovvero il tradimento del bambino da parte di una qualche figura di riferimento per la sua sopravvivenza fisica e/o emotiva”. Le diverse forme di maltrattamento, infatti, sono un vero e proprio tradimento di quel mandato biologico che – con l’attaccamento - porta i più piccoli in difficoltà a cercare conforto e cure dagli adulti di riferimento e, in modo complementare, porta gli adulti a rispondere – con l’accudimento - alle richieste di cure. A partire dagli anni ’90, la letteratura ha via via dimostrato che non sono solo le situazioni di conflitto sociale e/o domestico a negare il diritto all’infanzia, ma anche le varie forme di Trascuratezza (in inglese, Neglect). Questa, infatti, è stressante e traumatica per il bambino al pari del maltrattamento fisico e, spesso in maniera più subdola, comporta importanti effetti a medio e lungo termine per lo sviluppo fisico, psicologico e sociale e la comparsa di psicopatologia.

Fra le diverse forme di maltrattamento infantile, la trascuratezza (o neglect) è definita come “la negligenza, la trascuratezza, la mancata attenzione ai bisogni primari del bambino” e consiste nel fallimento nel soddisfare i suoi bisogni fisici ed emotivi fondamentali. Si distingue in:

  • Trascuratezza fisica: non riuscire a provvedere a bisogni fondamentali come il cibo, l’abbigliamento, una casa, la sicurezza. 

  • Trascuratezza educativa: non garantire al bambino il diritto a un’istruzione. 

  • Trascuratezza medica: non fornire adeguata assistenza sanitaria, rifiutando le cure e ignorando le raccomandazioni mediche. 

  • Trascuratezza emotiva: non soddisfare le esigenze di stimoli e nutrimento emotivo del bambino, ignorandolo, umiliandolo, isolandolo e/o avendo comportamenti intimidatori nei suoi confronti. Questa è spesso la forma di neglect più difficile da provare.

 

Cosa sappiamo sulla Trascuratezza?

L’impatto del neglect sul benessere o lo sviluppo successivo di psicopatologia sta venendo oggi riconsiderato. In passato, infatti, in ambito clinico e di ricerca si assisteva a una forma di “Neglect del neglect”, un po’ per questioni metodologiche, un po’ per una diversa cultura sul tema della trascuratezza. Ora sappiamo che il neglect è la forma di abuso sui minori più comune nel mondo, non sempre facile da identificare. I dati a disposizione, infatti, sono sicuramente una sottostima della sua reale diffusione. L’Indagine Nazionale sul Maltrattamento di Bambini e Adolescenti in Italia (basata su dati raccolti fino al 2013) ha mostrato che il 47,1% (42.965 minorenni) delle vittime prese in carico dai Servizi Sociali per maltrattamenti in Italia ha subìto trascuratezza materiale e/o affettiva, mentre – nel 2019 - 1.840 bambini sono morti per abuso o neglect negli Stati Uniti. Altri studi hanno evidenziato un’incidenza del 16.3% - 20.6% per la trascuratezza fisica e del 18.4% - 29.4% per la trascuratezza emotiva, con differenze a seconda delle età e delle aree geografiche considerate. Sappiamo anche che i bambini che vivono in una condizione di povertà sono 5 volte più a rischio di subire abuso e trascuratezza rispetto a quelli che hanno uno status socioeconomico migliore e che il maltrattamento infantile determina importanti costi in termini di salute pubblica (nel 2015, negli USA, 428 miliardi di dollari), al pari di patologie come l’infarto e il diabete di Tipo 2. Sappiamo, inoltre, che il neglect - se non riconosciuto e trattato - può avere un impatto molto significativo sulla salute e le opportunità di benessere nel ciclo di vita. Ad esempio, aumenta il rischio di futura violenza agita o subita, abuso di sostanze, infezioni sessualmente trasmesse, ritardo nello sviluppo cerebrale, e si associa a un più basso livello di istruzione e limitate opportunità lavorative. Inoltre, l’esperienza cronica di trascuratezza può portare a uno stato tossico di stress che può modificare lo sviluppo cerebrale, portando forme di plasticità neuronale che rappresentano degli adattamenti specifici che hanno la funzione di proteggere il bambino che vive in condizioni abusanti, ma che possono anche aumentare il rischio di Disturbo Post-Traumatico da Stress, difficoltà di apprendimento, attenzione e memoria. Sappiamo ancora che i soggetti maltrattati, rispetto a quelli non maltrattati, sviluppano disturbi psichiatrici in più giovane età, con un decorso peggiore del disturbo, maggiori comorbilità, sintomi più severi e una peggiore risposta ai trattamenti. Inoltre, i soggetti maltrattati mostrano alterazioni nel funzionamento delle aree cerebrali suscettibili allo stress, nelle risposte dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e nei livelli di (neuro)infiammazione, che non sono ugualmente riscontrabili nei soggetti non maltrattati. Pertanto, soggetti maltrattati e non, anche quando presentano la stessa diagnosi, appaiono diversi da un punto di vista clinico e neurobiologico. Infine, sappiamo che le famiglie maltrattanti, a confronto con quelle che non lo sono, mostrano più intensamente le emozioni negative, depressione, aggressività verbale e rabbia. Inoltre, hanno livelli più bassi di controllo e regolazione delle emozioni e minori capacità di fronteggiare le difficoltà (coping).

Cosa possiamo fare?

Un primo passo per prevenire ogni forma di maltrattamento infantile - inclusa la trascuratezza (o neglect) - è capire quanto spesso accada, dove e il suo impatto per la salute e il benessere di bambini e ragazzi. Ciò significa costruire e sviluppare una cultura trauma-informed, ovvero una conoscenza diffusa (fra bambini e adolescenti, famiglie, servizi educativi e sociosanitari di vario tipo) che permetta di segnalare, riconoscere e intervenire tempestivamente e adeguatamente a sostegno dei minori che si trovano a sperimentare questo tipo di difficoltà.

Infatti, nonostante le migliori conoscenze sull’argomento, oggi manca ancora un’adeguata condivisione di questi aspetti sia fra bambini e adolescenti – potenziali vittime - perché possano chiedere e trovare aiuto, sia all’interno delle istituzioni educative e sociosanitarie deputate alla loro tutela, perché possano effettivamente offrire protezione rompendo un ciclo di trascuratezza che troppo spesso ancora si ripete, coinvolgendole. Inoltre, la pratica clinica risulta spesso inadeguata e le persone che si rivolgono ai servizi di salute mentale non vengono intervistate sulla presenza di esperienze di abuso o neglect nella loro vita. Poiché sappiamo che soggetti maltrattati e non, con la stessa diagnosi, appaiono diversi da un punto di vista clinico e neurobiologico, considerare la presenza di maltrattamento infantile e/o di stress precoce rappresenta un punto di fondamentale importanza per migliorare le capacità diagnostiche e di trattamento al momento della presa in carico. Inoltre, approfondire le condizioni familiari e ambientali che originano il maltrattamento infantile può offrire le basi per delle pratiche di prevenzione, screening e trattamento più efficaci a sradicare questa e ogni forma di maltrattamento. È poi fondamentale che non solo gli adulti, ma innanzitutto i bambini e ragazzi siano consapevoli dei propri diritti, li conoscano e li sentano propri, attraverso spazi e attività (es. a scuola) che consentano loro di conoscere le diverse forme di maltrattamento e trauma, che li aiutino a fare domande difficili e a osservare ciò che è doloroso. In questo, pediatri, infermieri e insegnanti possono svolgere un ruolo fondamentale. È importante creare condizioni per far sentire i bambini ascoltati e pensati e, anche nel caso di trascuratezza come di altre forme di maltrattamento, attivare risorse e servizi per sostenerli nella sofferenza e aiutarli a raggiungere importanti obiettivi di vita (accademici, sociali e affettivi e lavorativi), che la letteratura dimostra essere fattori protettivi e di benessere.

Ciò significa intervenire a diversi livelli: per rafforzare la sicurezza finanziaria delle famiglie, con politiche del lavoro favorevoli; cambiare le norme sociali di supporto ai genitori e alla genitorialità, attraverso campagne pubbliche di rinforzo degli atteggiamenti genitoriali positivi e con misure legislative per ridurre le punizioni corporali; offrire cure e istruzione di qualità fin dalle fasi più precoci di vita, con attività prescolari che coinvolgano le famiglie e sistemi di accreditamento e valutazione dei servizi di sostegno all’infanzia; accrescere le abilità genitoriali per promuovere il sano sviluppo dei bambini, con attività fin dalla prima infanzia che coinvolgano la famiglia; intervenire per ridurre i danni e prevenire i rischi futuri, con la prevenzione primaria, il parent-training sui comportamenti positivi di accudimento, con attività mirate a ridurre i danni da esposizione al neglect e con interventi volti a prevenire comportamenti a carattere violento.

Abbiamo ancora tanto da fare a partire dai preziosi spunti offerti dalla Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e Adolescenza, che ancora oggi fornisce una guida e una prospettiva attuali per offrire un mondo migliore ai piccoli di oggi e di domani.

Concludendo con le parole di Dan Pursuit, Tutti i bambini indossano un cartello con la scritta “Voglio essere importante!”. I problemi nascono quando nessuno legge questa scritta”. Nel lavoro di ciascuno di noi siamo chiamati ogni giorno a mettere in pratica quegli spunti, per leggere il cartello che ogni bambino porta con sé e per aiutare chi intorno a lui fatica a farlo.
 

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

  • Ayers S, Bond R, Webb R, Miller P, Bateson K. Perinatal mental health and risk of child maltreatment: A systematic review and meta-analysis. Child Abuse Negl. 2019 Dec;98:104172.

  • Baldwin JR, Reuben A, Newbury JB, Danese A. Agreement Between Prospective and Retrospective Measures of Childhood Maltreatment: A Systematic Review and Meta-analysis. JAMA Psychiatry. 2019 Jun 1;76(6):584-593.

  • Blaisdell KN, Imhof AM, Fisher PA. Early adversity, child neglect, and stress neurobiology: From observations of impact to empirical evaluations of mechanisms. Int J Dev Neurosci. 2019 Nov;78:139-146.

  • Bland VJ, Lambie I, Best C. Does childhood neglect contribute to violent behavior in adulthood? A review of possible links. Clin Psychol Rev. 2018 Mar;60:126-135.

  • Felitti VJ, Anda RF, Nordenberg D, Williamson DF, Spitz AM, Edwards V, Koss MP, Marks JS. Relationship of childhood abuse and household dysfunction to many of the leading causes of death in adults. The Adverse Childhood Experiences (ACE) Study. Am J Prev Med. 1998 May;14(4):245-58.

  • Lavi I, Manor-Binyamini I, Seibert E, Katz LF, Ozer EJ, Gross JJ. Broken bonds: A meta-analysis of emotion reactivity and regulation in emotionally maltreating parents. Child Abuse Negl. 2019 Feb;88:376-388.

  • Mulder TM, Kuiper KC, van der Put CE, Stams GJM, Assink M. Risk factors for child neglect: A meta-analytic review. Child Abuse Negl. 2018 Mar;77:198-210.

  • Nöthling J, Malan-Müller S, Abrahams N, Hemmings SMJ, Seedat S. Epigenetic alterations associated with childhood trauma and adult mental health outcomes: A systematic review. World J Biol Psychiatry. 2020 Sep;21(7):493-512.

  • Read J, Harper D, Tucker I, Kennedy A. How do mental health services respond when child abuse or neglect become known? A literature review. Int J Ment Health Nurs. 2018 Dec;27(6):1606-1617.

  • Teicher MH, Gordon JB, Nemeroff CB. Recognizing the importance of childhood maltreatment as a critical factor in psychiatric diagnoses, treatment, research, prevention, and education. Mol Psychiatry. 2021 Nov 4:1–8.

  • Wilson N, Robb E, Gajwani R, Minnis H. Nature and nurture? A review of the literature on childhood maltreatment and genetic factors in the pathogenesis of borderline personality disorder. J Psychiatr Res. 2021 May;137:131-146.

Il ciclo intergenerazionale del trauma: violenza di genere e violenza assistita

Melodie Descoubes on Unsplash


Violenza di genere e violenza assistita:

interrompere il ciclo di violenza per prevenire la trasmissione intergenerazionale del trauma.
 

Di Annalisa Di Luca


Il mese di Novembre è importante perché pone al centro donne e bambini per diffondere una cultura di contrasto alla violenza di genere e alla violenza sui minori. Il 20 Novembre sarà infatti la Giornata internazionale per i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza e il 25 Novembre sarà Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. Due momenti di riflessione collettivi su due temiinterconnessi e che ci sono particolarmente a cuore.

Le statistiche diffuse dopo l'inizio della pandemia e i primi lockdown, ci hanno già raccontato di un incremento di chiamate ai centralini che si occupano di violenza intra-familiare. Quali sono le considerazioni che può essere importante fare su questi fenomeni in una logica traumatologica?


Noi professionisti della salute mentale, in quanto ricercatori, fornitori di servizi e sostenitori delle politiche, abbiamo un ruolo importante da svolgere nell'educazione del pubblico, nella prevenzione e nel trattamento della violenza contro le donne e i bambini proprio ripartendo dal rimettere al centro l'impatto del trauma sulle persone.


La violenza contro le donne è un problema di salute pubblica globale e rappresenta uno dei principali fattori di rischio, di cattiva salute e di morte prematura per le donne e le ragazze (WHO, 2002). È un fattore di criticità urgente in quanto compromette la salute psico-fisica delle donne limitandone le libertà personali e condizionando la crescita del capitale umano e del sistema economico e sociale nel suo complesso. Le sue conseguenze sullo stato di salute della donna assumono diversi livelli di gravità che possono avere esiti fatali (femminicidio o interruzione di gravidanza), molto invalidanti (conseguenze da trauma, patologie sessuali o riproduttive, problemi ginecologici e infezioni sessualmente trasmesse, HIV, ecc.) e con un forte impatto psicologico e ricadute in termini di peggioramento complessivo dello stato di salute (Disturbo da Stress Post-Traumatico- PTSD,depressione, abuso di sostanze e comportamenti suicidari, disturbi alimentari e/o sessuali). Le stesse conseguenze possono perdurare lungo tutto l’arco della vita.
Evidenze scientifiche dimostrano come l’influenza di questi traumi è causa di disturbi comportamentali ed emotivi che, se non compresi ed elaborati, possono ricadere sulla crescita e sul percorso esistenziale e di sviluppo dei bambini che assistono alla violenza sulla madre o che spesso, negli stessi contesti in cui c'è la violenza di genere, sono vittime dirette di abusi e maltrattamenti in ambito familiare.

Le evidenze scientifiche ci mostrano che le donne che vivono in povertà corrono un rischio particolarmente elevato per tutti i tipi di violenza, in particolare aggressioni gravi e pericolose per la vita, e di conseguenza i bambini presenti. Ed è inutile sottolineare come i livelli di violenza aggressiva e letale contro le donne rimangono elevati, nonostante la maggiore consapevolezza e una legislazione sempre più sensibile.


Come clinici e ricercatori abbiamo il compito, direi l'obbligo, di svolgere al meglio il nostro ruolo, per cercare di fermare e curare questa epidemia nascosta. Per questa ragione appare importante, come già accaduto per l'APA, consigliare di dare rilievo alle iniziative di politica pubblica nei settori della ricerca, della prevenzione e dell'intervento, compresa la riforma giuridica e legislativa.
Appare molto significativo appoggiare gli sforzi legislativi che cercano di correggere gli squilibri di potere di genere, compresa la legislazione sui diritti civili, l'assistenza non autosufficiente e il sostegno familiare e l'equità retributiva (ultima normativa approvata dal senato italiano), perché concorrono ad un'idea diversa e paritetica del femminile.
Più nel dettaglio poi è importante partecipare alle occasioni formative che esplorino le strade più efficaci per riconoscere e curare le vittime di violenza e per condurre ricerche sulla prevenzione e l'intervento con le donne stesse, i loro figli e gli autori di reato. Prestare una maggiore attenzione agli interventi rivolti a bambini e adolescenti che siano stati esposti a separazioni altamente conflittuali o a violenza familiare: la loro cura deve considerare che sono a rischio di comportamenti violenti o vittimizzazione.


La complessità del fenomeno richiede ad ognuno di noi una maggiore collaborazione con le reti multidisciplinari territoriali; è necessario esplorare le strade per una maggiore collaborazione con le discipline legali, mediche e altre discipline professionali per prevenire la violenza contro le donne e i bambini.
La scuola anche in una prospettiva preventiva può essere un luogo prezioso; dal punto di vista pedagogico è importante progettare interventi psicoeducativi e socioculturali per cambiare l'oggettivazione maschile delle donne, fenomeno culturale assai diffuso.


Secondo i Centers for Disease Control and Prevention, negli Stati Uniti quasi 1 donna su 4 riferisce di aver subito violenza da partner intimi ad un certo punto della sua vita e 15 milioni di bambini vivono in famiglie in cui si è verificata violenza da partner intimi nell'ultimo anno.

***

Ognuno di noi, come professionista e come socio in AISTED, nel suo spazio di vita e di lavoro, ha il prezioso compito di diffondere informazioni sul trauma e aiutare le vittime a comprendere il suo impatto nella loro vita nel breve e lungo termine. Uno sguardo, il nostro, che può offrire la possibilità concreta di tenere assieme l'impatto delle esperienze sfavorevoli infantili con la prospettiva integrativa necessaria nella cura di questi esiti. È un prospettiva da costruire con tutti, gli educatori, i sanitari e le associazioni legate alla salute delle donne e dei bambini per sviluppare, implementare, valutare e diffondere materiali educativi trauma-informed su come aiutare le persone colpite da un'esposizione reiterata a violenza e abusi.
Insieme possiamo creare e muovere questo cambiamento.

 

"E' difficile ma parliamone." Come sviluppare contesti educativi trauma-informed

Kelly Sikkema su unsplash

Una riflessione sull'importanza di sviluppare una capacità di ascolto 

sensibile al trauma e consapevole delle emozioni dei più piccoli,

a scuola e in famiglia

 

di Annalisa Di Luca

 

Ecco, ci siamo. L'anno scolastico prende forma.

Iniziare un nuovo anno scolastico in circostanze normali può essere già di per sé difficile: la combinazione di nuove routine, carichi di lavoro e pressioni sociali può essere stressante per i bambini e adolescenti.

Ma per l'ennesima stagione di ritorno a scuola, gli studenti - alcuni dei quali stanno tornando alla presenza in classe per la prima volta in un anno e mezzo - stanno anche cercando di orientarsi nel loro percorso scolastico. Tutto può sembrare nuovo o estraneo. Alcuni studenti delle scuole medie e superiori stanno entrando in edifici in cui non sono mai stati prima. Alcuni stanno utilizzando la mensa per la prima volta dall'inizio della pandemia di COVID-19.

Di solito le routine che conosciamo, la consapevolezza di cosa accadrà quando si affronta una cosa nuova sostengono questo sforzo. Questo sforzo invece avviene in uno scenario in cui non è stato semplice immaginarsi una routine. Per alcuni i livelli di ansia e tristezza sono cresciuti facendogli percepire questo inizio come molto spaventoso e sovraccarico di impegni, tali da attivare bisogni di evitamento, di fuga e talora rabbia per le più comuni attività quotidiane.

Nell’articolo del Jama Pediatrics viene pubblicata una ricerca sugli effetti del Covid sui minori: “Global Prevalence of Depressive and Anxiety Symptoms in Children and Adolescents During COVID-19 A Meta-analysis” (trad. titolo: Prevalenza dei sintomi depressivi e di ansia nei bambini e negli adolescenti durante la pandemia: una meta-analisi)

L’articolo recita:

“Le stime globali dei disturbi mentali in bambini e adolescenti, osservate in questo studio nel primo anno della pandemia, indicano che la prevalenza è aumentata in modo significativo, rimane alta e quindi merita attenzione per la pianificazione del recupero della salute mentale. In questa meta-analisi di 29 studi che includevano 80.879 giovani a livello globale, le stime di prevalenza di depressione e ansia in bambini e adolescenti erano rispettivamente del 25,2% e del 20,5%. La prevalenza dei sintomi di depressione e ansia durante COVID-19 è raddoppiata, rispetto alle stime prepandemiche, e le analisi dei ricercatori hanno rivelato che i tassi di prevalenza erano più alti col progredire della pandemia, in particolare negli adolescenti più grandi e nelle ragazze.”

Di fronte ad un bisogno generale di questo tipo ha senso chiedersi cosa ognuno di noi, e cioè gli adulti che questi bambini incontrano nella loro giornata, possa fare per attenuare questa fatica. Accanto ai normali cambiamenti e alle sfide che gli studenti affronteranno in questo anno scolastico, ci sono passi che bambini preadolescenti e adolescenti, insieme alle loro famiglie, possono intraprendere per ridurre i livelli di stress e ansia e proteggere la loro salute mentale.

 

Ri-connettersi.

L'ansia sociale spesso è un fenomeno presente tra i minori, normale e legato ad un profonfo timore del giudizio dei coetanei in una fase in cui l'appartenenza al gruppo assume un ruolo enorme nella vita emotiva. Forse ancora di più dopo mesi di isolamento e opportunità mancate di connettersi con i loro coetanei, l'ansia sociale sta occupando spazio tra le tante emozioni che gli adolescenti stanno affrontando proprio in questi giorni. Ecco perché gli esperti dicono, ora più che mai, che gli studenti hanno bisogno di raggiungere gli altri, di tornare a svolgere in sicurezza quelle che erano attività di connessione: gli sport, le attività gruppali, i compiti assieme in presenza o anche a distanza.

Questo tipo di attività vanno un po' programmate e talora "forzate" perché è possibile ipotizzare che i bambini che continuano a isolarsi potrebbero scoprire che le loro ansie aumentano rapidamente, facendoli sentire come se fossero davvero invisibili e portandoli a chiudersi in un loro mondo di fantasia, lontano dal confronto con gli altri.

È quindi importante che i caregiver tutti, dalla famiglia agli insegnati, esplicitino questa complessità, condividano le fatiche facendo comprendere a questi studenti che non sono soli.

È un po' come se ci dovessimo dire assieme: "Ricorda che tutti hanno fatto questa esperienza e sono nella tua stessa barca; tutti fanno fatica a prendere l'iniziativa e sono un po' disorientati e spaventati...Ma se nessuno fa il primo passo, non succederà mai. Quindi - per quanto sia difficile - è estremamente utile e importante per la nostra salute emotiva impegnarci a riprendere le nostre relazioni...".

Stabilire connessioni sociali con altri studenti, ad esempio entrando a far parte di una squadra sportiva, di un gruppo che fa attività ricreativa fuori o dentro la scuola, attivare corsi di lingua, teatro, danza, arti creative in generale può aiutare a riattivare le competenze “perse” o non esercitate in questo lungo anno e contribuire a ridurre l'ansia per i preadolescenti e gli adolescenti.

 

Modulare le emozioni: o meglio, sentirsi al sicuro

Oltre che creare, promuovere e guidare la ripresa graduale della socialità, i caregiver possono anche aiutare a creare calma e sicurezza. I bambini di tutte le età hanno infatti bisogno di piccoli gesti tranquillizzanti: piccoli oggetti, una canzone che piace, un vestito più comodo ecc che possono aiutarli a sentirsi al sicuro e calmi. Questi piccoli simboli possono assumere una grande importanza perché aiutano a regolare le emozioni negative, a vedere il positivo, a sentire il benessere nel corpo e nella mente e tornare a coltivarlo, ogni giorno.

Nel pensiero anglosassone c'è addirittura l'idea di costruire e portare con sé un “kit auto-calmante" per arginare le sensazioni di solitudine e stress che possono affacciarsi durante la giornata, cioè avere chiaro che si porta con sé oggetti che aiutano a ritrovare uno spazio più calmo, conoscersi e "abbracciarsi un po' " dentro questa fatica. Offrire strumenti di modulazione delle emozioni è sempre cruciale per lo sviluppo affettivo e cognitivo di ogni bambino e adolescente e serve a sviluppare adeguate capacità di mentalizzazione dei propri stati interni. In questa fase di stress prolungato è dunque fondamentale mettere al centro questi strumenti e normalizzare gli effetti di questo stress sulla salute mentale.

Per i genitori o gli insegnanti non è tuttavia sempre facile sapere quando un preadolescente o un adolescente si sente stressato. Ricordiamoci però che incalzare o "interrogare" un adolescente sulla sua giornata potrebbe aumentare la chiusura.

Quindi, come possono i genitori aiutare i loro preadolescenti o adolescenti con le loro ansie se non sanno nemmeno cosa provano o pensano i loro figli?

Intanto cercando di creare un clima positivo, curioso e aperto, raccontando loro stessi aneddoti della loro giornata orientati al positivo e ad esplorare piccoli episodi insieme, in modo che anche i ragazzi sentano il desiderio di condividere un po'. In questa ottica è importante ricordare che come adulti siamo un esempio e che imitare è un potente strumento di conoscenza della realtà.

Quindi, se come caregiver abbiamo iniziato l'anno scolastico ansiosi e già stressati e parliamo molto delle nostre preoccupazioni questo potrebbe finire per contagiare i nostri piccoli. Il modo in cui stiamo gestendo le nostre emozioni come adulti è importante perché genera un rispecchiamento con chi ci circonda. Va bene essere in difficoltà anche come adulti o genitori: importante è riconoscerlo e prendersene cura. Non vuol dire che si deve mentire, facendo finta che vada tutto bene: è evidente che sarà un anno scolastico di nuovo "strano" ma è più utile stare e constatare insieme la complessità delle emozioni in cui tutti ci stiamo muovendo e mettersi a disposizione per condividerla: "E' difficile ma parliamone".

L'obiettivo importante qui è creare un linguaggio condiviso (in famiglia così come a scuola), che aiuti a comunicare al meglio le proprie emozioni e bisogni e che accresca le capacità di ognuno di stare nell'esperienza, senza giudizio e con il massimo della curiosità. Sarebbe bello se anche a scuola si potessero creare degli spazi ad hoc- stanze di benessere- dove i ragazzi possano andare se l'esperienza di essere in classe diventasse troppo disturbante e sopraffacente.

Le scuole e i contesti educativi cosiddetti “trauma-informed”, cioè attenti a riconoscere l’impatto che le esperienze negative traumatiche hanno sui propri alunni, sarebbero veramente preziosi per accrescere la consapevolezza di aver vissuto un'esperienza collettiva molto stressante e che se ne può uscire meglio ascoltando i segnali di stress anziché negandoli. Attraverso pratiche scolastiche sensibili e consapevoli degli effetti emotivi del trauma sulla mente dei ragazzi, sarebbe possibile costruire percorsi volti ad aiutare i bambini a sentirsi al sicuro, ad essere connessi con le proprie e altrui emozioni, a regolarsi e ad imparare in un contesto attento alle diverse sensibilità e non giudicante verso le esperienze soggettive. Del resto oggi abbiamo enormi conoscenze scientifiche su quanto eventi traumatici infanitli influenzino anche le capacità di apprendimento, quindi bambini e regazzi traumatizzati, rischiano una traumatizzazione secondaria nei contesti scolastici altamente orientati alla performance e poco o nulla orientati all'ascolto emotivo e alle relazioni. E' molto utile dunque incoraggiare i ragazzi a parlare dei loro stati d'animo anche a scuola e gli adolescenti a utilizzare gli sportelli psicologici come spazi di confronto esterni alla famiglia.

In ultimo ricordiamo tutti che abbiamo condiviso un'esperienza importante e vissuto già le fasi più complesse, l'occhio del ciclone del COVID-19. Siamo stati bravi nell'affrontare questa vicenda e abbiamo le risorse per potercela fare ancora. Perché siamo comunque insieme.

Buone vacanze da AISTED!

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Estate 2021: in equilibrio tra libertà, cura di sé e presenza

di Annalisa Di Luca e Camilla Marzocchi

 

Ecco, ci siamo: è iniziata l'estate, la seconda dell'era COVID.

Il desiderio è che tutti possano usare al meglio le possibilità che si offrono, di stare fuori all'aperto, di riposare di più e ancora meglio nei periodi di vacanza.

Dopo mesi di immobilità e isolamento, è importante tornare a dare spazio all'esplorazione, in tutti i modi possibili e sicuri che abbiamo a disposizione. Oltre alla necessaria ricerca di sicurezza è importante infatti ricordare che la mente e il corpo hanno in sé una fortissima e innata spinta ad esplorare, che è altrettanto importante provare a soddisfare con ogni gesto possibile e nei limiti delle nostre possibilità: tornare a spaziare fuori dal quotidiano, guardare lontano, camminare sentieri sconosciuti, respirare luoghi nuovi, stupirci, incontrare, insomma tornare a muoverci in sicurezza nel mondo e ri-trovare quello che abbiamo dovuto mettere da parte in questi mesi. Siamo fortunati perché la nostra nazione è ricca di luoghi incantevoli in cui riscoprire le esperienze che nutrono l'umano, quindi intanto buona esplorazione a tutti!

Accanto a questo, crediamo anche che questa estate 2021 sia un'opportunità importante per continuare a prenderci cura di noi stessi e dare un senso a questa ritrovata libertà, assaporandone con calma le sensazioni, le emozioni e i significati. Siamo forse più consapevoli della scorsa estate, alcuni più feriti, altri più spaventati o più stanchi, ma tutti portiamo molte tracce nel corpo e nella mente dei mesi duri che abbiamo attraversato e che hanno dato fondo alle nostre risorse di resilienza e forza.

Come associazione AISTED abbiamo preparato nei mesi scorsi un secondo ebook a tema “Stabilizzazione: navigare in sicurezza le onde del trauma”, che speriamo possa essere di inspirazione e supporto ai prossimi mesi e perché no una nutriente lettura estiva per orientarci a promuovere la salute e il necessario recupero di energie per affrontare il prossimo autunno.

Per chi ha a che fare con il trauma e la dissociazione - che si tratti di persone che si rivolgono a noi dopo vite complesse oppure di noi terapeuti che, seduti più o meno comodamente, abbiamo il provilegio di ascoltare e conoscere queste storie - ha forse un valore speciale poter improntare questo periodo avendo chiare quali possono essere delle risorse "riparative"- le self care strategies - che possiamo mettere un campo in modo mirato.

"Medice, cura te ipsum" dicevano i latini.

Questa pandemia ha spinto ancora di più a riflettere sul legame tra salute fisica e salute mentale e ha messo in evidenza come in realtà siano aspetti della vita strettamente interconnessi e capaci di comunicare tra loro in modo efficace, se messi nelle giuste condizioni emotive.

Quindi, proprio come si potrebbe aver bisogno di far riposare il corpo quando abbiamo il raffreddore o ci si sentiamo affaticati, "stressati" o ansiosi, dopo questo periodo così intenso potrebbero presentarsi molti segnali che possiamo imparare a cogliere, anziché spegnere, per prenderci più cura di noi (e non meno) proprio perchè siamo più liberi: perdita di energia, tensione o dolori nel corpo, problemi di stomaco, difficoltà di concentrazione, insonnia, irritabilità, insofferenza, ansia generalizzata. Come possiamo averne cura in modo intenzionale anche in vacanza?

 

Alcune sollecitazioni che ci piace condividere con voi.

Il rapporto con l'acqua.

L'acqua ha diverse proprietà che possono avere un effetto calmante sul corpo e sulla mente.

Un caso di studio pubblicato nel British Medical Journal Case Reports suggerisce che il nuoto in acque libere e fredde potrebbe aiutare le persone depresse a rinunciare ai farmaci e a vivere una vita più felice. La possibilità concreta di nuotare all'aperto non deve farci dimenticare la bontà di cose più semplici, come fare un bagno caldo o rinfrescarsi sotto la doccia, tutte azione che possono rilassare il corpo e stimolare il flusso sanguigno. Sappiamo che una buona circolazione aiuta il corpo a funzionare al meglio e la mente a recuperare lucidità, presenza e freschezza. L'alternanza tra acqua più calda e più fredda nella doccia potrebbe ottenere questi benefici in pochi minuti. Anche tenere in mano dei cubetti di ghiaccio e lasciarli sciogliere a contatto può essere un modo più intenso ma molto valido per riportarsi ad uno stato di calma e rilassamento.

 

Il rapporto con la natura.

Dopo i vari lockdown può sembrare davvero più facile e protettivo finire per passare più tempo sul telefono o sui device, connetterci con “tutto” dal nostro divano e restare in casa.

Tuttavia molte persone trovano che trascorrere del tempo nella natura sia una parte davvero importante della loro routine di cura di sé. Per alcuni la natura aiuta ad essere più consapevoli e ad apprezzare la vita, per altri a recuperare una visione più ampia e panoramica della vita “al di fuori” della propria testa e dei propri pensieri e per alcuni semplicemente trovano che l'aria fresca li aiuta a rilassarsi.

Per ognuno di noi, che si trovi in città o immerso nella natura, potrebbe essere di stimolo trovare un angolo della giornata in cui cercare questo contatto e scoprire cosa funziona per sé e cosa no. Esplorare alcune possbilità può includere cose molto semplici come fare passeggiate, trascorrere del tempo al parco sotto casa o in spiaggia o in montagna, coltivare piante e molto altro. Quello che è certo è che il contatto diretto con gli elementi della natura – aria, acqua, terra – in ogni sua forma può generare in tutti un immediato senso di radicamento e presenza, qualità che spesso perdiamo nei nostri pensieri più inclini a spostarci continuamente tra passato e futuro. In entrambi i casi raramente siamo presenti a noi stessi e alle risorse intorno.

Ecco, la presenza nel “qui ed ora” e quanto di più prezioso abbiamo – soprattutto nei momenti di difficoltà - per predisporre la mente e il corpo a contattare più facilmente le proprie risorse interne e a sentire e percepire in modo integrato la realtà, almeno per qualche momento della giornata.

 

La relazione con gli altri.

La pandemia ci ha chiesto isolamento. Stare per conto proprio può essere diventato una specie di bisogno.

Ed ora quando ci sentiamo stanchi, provati o giù di morale, ansiosi, può essere davvero facile smettere lentamente di uscire e rinunciare a vedere i propri amici come prima. Per alcuni può essere davvero utile provare a rompere questa abitudine a “ritrarsi” e tornare a trascorrere intenzionalmente più tempo con gli amici e le persone care, nella consapevolezza che non sarà subito facile o piacevole, come invece la narrazione generale ci rappresenta. Bello sì, non subito facile.

Nella realtà emotiva della fase che stiamo vivendo abbiamo tutti bisogno di ri-esporci gradualmete alla socialità diretta, non più mediata da schermi e tastiere, e non è un processo così lineare e banale: riabituarci alle voci e ai rumori, allo sguardo dell'altro, alle parole e ai suoi gesti particolari, risintonizzarci al dialogo diretto, all'ascolto, al confronto, alla mediazione, talora al conflitto, e a tutto ciò che rende le relazioni umane incredibilmente ricche e nutritive.

E' normale sentirci tutti con uno strato di pelle più sottile, con confini emotivi più fluttuanti, più vulnerabili e sensibili ad ogni variazione esterna. E' normale persino essere cambiati profondamente e lasciarsi il tempo di ri-conoscersi con gli amici di sempre.

E' molto importate tornare a sentire questa naturale vulnerabilità tipica delle relazioni umane. Diamoci tempo di riscoprire cosa comporta davvero parlarsi e raccontarsi.

 

Relazione con il proprio corpo.

Tutto quello di cui si è parlato fino ad ora ha come protagonista principale il nostro corpo. Ma è indiscutibile che nell'approccio al trauma è necessario non trascurare se non addirittura partire da esso per migliorare il nostro benessere.

Facendo un affondo potremmo quindi aggiungere alcune ulteriori considerazioni di base:

- sappiamo che le tecniche di respiro, meditazione, consapevolezza e rilassamento possono aiutarci e ridurre lo stress e l'ansia, anche di fronte ad un trauma sub acuto come in questa pandemia. (trovate una ricca disamina di tecniche esperienziali nel nostro ebook). Se durante l'anno non siamo riusciti a praticarle con costanza, potremmo usare le vacanze per inserirle in maniera più efficace nella nostra routine. Non siamo critici con noi stessi e sul tempo “perso” nei mesi scorsi, non per tutti è stato possibile usare il tempo “vuoto” per questo, non per tutti è stato facile gestire l'isolamento. Non è mai tardi per prendersi cura di sé e mai soprattutto inutile anche per pochi minuti al giorno.

- ricordiamoci di non sottovalutare l'importanza del sonno e del cercare di mantenere una buona routine nei tempi di riposo e recupero, un'alterata qualità del sonno ha effetti diretti sulla salute fisica e mentale:

  1. anche in vacanza che possiamo continuare a occuparci della nostra salute attraverso il cibo: mangiare riso, avena e latticini può produrre sostanze chimiche che aumentano il nostro desiderio di dormire

  2. ricordiamoci che oltre all'ovvia caffeina, in termini di cibi e bevande da evitare sono tutte le sostanze ricche di zuccheri che possono tenere svegli se consumati a fine giornata e che un pasto abbondante dopo metà serata può anche impedire di dormire pacificamente

  3. ricordiamoci che nonostante possa farci sentire rilassati e possa aiutarci a prendere sonno, in verità è l'alcol spesso compromette la qualità del sonno e rende più probabile che ci si svegli durante la notte poiché fa sentire disidratati.

 

Insomma ...ci sarebbero ancora tante riflessioni, ma se vorrete potrete trovare molti spunti nell'ebook AISTED da leggere e condividere con chi volete.

SCARICALO QUI!

 

Vi invitiamo a vivere un'estate nutritiva e divertente, in cui provare tutti a restare in ascolto di noi stessi e degli altri, per darci il tempo e lo spazio necessari a costruire un nuovo equilibrio tra esplorazioni, cura di sé e connessione - quella vera! - con gli altri che vorremo accanto a noi!

 

Buone vacanze a tutti da AISTED!

 

 

Adolescenti e Bambini in Post-Emergenza: il nostro futuro riparte da qui!

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Un'emergenza nell'emergenza!

Di Annalisa Di Luca, Elena Simonetta

 

Abbiamo metaforicamente confrontato la pandemia da Covid-19 con altre tragedie cui è stato messo di fronte l’essere umano (eventi naturali come lo tsunami o i terremoti, le guerre, le precedenti influenze come la spagnola ecc.)

Eppure queste tempeste del passato sembravano molto diverse. C'era una previsione di fine immediata, a volte una possibile preparazione, comunque una prospettiva di fine, e poi una speranza di ripresa. 

La "tempesta" della pandemia ha offerto solo un finale sconosciuto, senza alcuna prevenzione o trattamento noto in vista, soprattutto lungo il primo anno.

La necessaria applicazione del distanziamento sociale ha impedito ulteriori perdite di vite umane, ma il trauma conseguente ha avuto implicazioni significative per individui, famiglie e comunità. Ha anche cambiato radicalmente il modo in cui ci prendiamo cura, interagiamo, supportiamo e gestiamo anche i programmi di assistenza sanitaria.

È quindi cresciuta la consapevolezza che ciò che stiamo vivendo può essere traumatico per tutti e che nei mesi e negli anni a venire ci sarà senza dubbio un maggiore bisogno di servizi di salute mentale.

Ma oggi vorremmo sottolineare, anche a seguito dei numerosi episodi di cronaca che hanno acceso i riflettori in maniera drammatica sulla sofferenza e fatica di adolescenti e giovani adulti, cosa ha rappresentato e rappresenta in termini di impatto, questa pandemia sullo sviluppo di bambini ed adolescenti.  

Ci deve essere una maggiore consapevolezza, comprensione e compassione per i minori che hanno avuto, di fatto, un' interruzioni dello sviluppo psicoaffettivo, con il cambiamento significativo della routine fino alla mancanza di punti di riferimento importanti della vita come compleanni, riti di passaggio religiosi e sociali, l' iper-connessione ai device ma anche la “disconnessione” dai luoghi di vita abituali, dalla rete sociale di appartenenza, dai servizi sanitari e di salute mentale, dalle relazioni a scuola, tutti elementi dal forte impatto sul loro benessere ora e in futuro.

Le richieste per adolescenti con disturbi depressivi, disturbi d’ansia con attacchi di panico, autolesionismo e disturbi del comportamento alimentare, tentativi di suicidio, violenza tra pari, aggressività nei gruppi, cyberbullismo, adescamento su chat da parte di pedofili, sexting, grooming, sono in aumento sia nei centri pubblici che presso gli specialisti privati. (QUI link a ricerche pubblicate sul tema)

Alcuni ragazzi sono andati in crisi con la ripresa della scuola in presenza, dopo il lungo lockdown, contenti nel riprendere i contatti sociali, ma contemporaneamente spaventati e sovrastati dall’ansia di dover riaffrontare il tutto.

Ma perché accade questo disequilibrio dello sviluppo?

Durante un trauma, per i bambini come per gli adulti, adattarsi è qualcosa di naturale, fisiologico e protettivo: lo facciamo tutti! Ma perché è più delicato e preoccupante se un trauma lo vive un minore?

Perché accade in un periodo della vita che li vede impegnati nel loro sviluppo psicofisico (crescita corporea, acquisizione di nuove competenze cognitive e fisiche, sviluppo delle capacità sociali e relazionali, ecc.).

Questa situazione, che di fatto ha richiesto un adattamento importante, può aver generato una modificazione significativa dello sviluppo emotivo, cognitivo e somatico rispetto a quella che fisiologicamente si sarebbe avuta.

Questo vuol dire che molti bambini potrebbero aver avuto una fase di crescita disarmonica, con parti emotive orientate ad una spinta evolutiva e maturativa più importante proprio a causa dei temi e delle difficoltà affrontate, ma anche parti più "infantilizzate" o immature, che non hanno potuto accedere ed usufruire delle esperienze evolutive necessarie allo sviluppo di alcune competenze, come ad esempio quelle di natura sociale e relazionale.

Come riusciremo a stare di fronte a queste esigenze compensative e riparative dei minori durante e dopo questa pandemia?

La povertà del sistema di salute mentale in particolar modo rivolto all'età evolutiva ci permette di avanzare l'ipotesi che non siamo preparati a rispondere alle esigenze di minori e famiglie.

Vorremmo sottolineare l’esigenza di iniziare a pensare e costruire un processo di cura in una prospettiva trauma-informed, che colga anche gli aspetti di trauma collettivo e non solo individuale. Una maggiore compartecipazione del contesto scolastico alle fasi di rielaborazione del trauma e con spazi di confronto sociale, affettivo e relazionale anche più ampio, potrebbe rappresentare un argine efficace al malessere dei più piccoli, senza che si debba arrivare a manifestazioni eclatanti per poterne prendere coscienza.

È il momento che i grandi pensino a come avere cura del loro futuro: i bambini.

Per questi motivi AISTED (Associazione Italiana Studi Trauma E Dissociazione) invita tutti coloro che vogliono contribuire alla cura del futuro dei nostri bambini e adolescenti a farsi portavoce dell’aumentato disagio giovanile e dell’esigenza di ricercare le opportune modalità riparative e curative del disagio individuale e familiare.

Non dobbiamo mai dimenticare che i bambini e gli adolescenti di oggi sono gli adulti di domani.

 

REPORT E RICERCHE PUBBLICATE NEGLI ULTIMI MESI sulla Salute Mentale di bambini e adolescenti nel nostro paese:

Bambini e Covid

Online il rapporto "Covid-19 e adolescenza"

 Salute mentale dei minorenni, al via ricerca Garante infanzia-Istituto superiore di sanità-Ministero dell’istruzione

Contrastare l'impatto della pandemia su bambine/i e adolescenti

 

 

Nuovo E-Book AISTED: "La Stabilizzazione"

Emil Nolde

INTRODUZIONE

Navigare in sicurezza le onde del trauma

di Camilla Marzocchi

Consigliera AISTED, Referente AreaWeb

 

Sin dall'inizio della pandemia da Covid19 (marzo 2020) AISTED ha intensificato il suo lavoro di rete tramite i molti gruppi di lavoro che la compongono. I 2 Ebook editati e pubblicati a partire da maggio 2020 (di cui questo è il secondo componente), sono la parte visibile e disponibile all'esterno di molto altro lavoro che la Associazione continua a fare, ogni giorno, tramite il confronto tra i quasi 200 specialisti di stress e trauma che la compongono.

SCARICA E-BOOK QUI!

Durante l'ultimo anno abbiamo navigato una realtà strana e completamente nuova, senza precedenti nel nostro tempo e senza nessun punto di riferimento. In mare aperto tra le onde abbiamo iniziato a muoverci per restare a galla, a volte imparando cose nuove, a volte sprofondando sotto la superficie, a volte prendendoci gusto, spesso guardandoci l'un l'altro un po' smarriti. Durante tutto il 2020 abbiamo attraversato una fase acuta di stress caratterizzata da ansia, incertezza, minaccia e grande smarrimento, cui è seguito un graduale e curioso adattamento, una crescita post-traumatica che ci ha mostrato nuove risorse, opportunità, idee fino ad un graduale ritorno alla calma e alla sicurezza o almeno a quella che abbiamo pensato fosse tale. Poi in autunno di nuovo siamo entrati in una fase di stress acuto, più lungo e spaventoso del precedente, di nuovo costellato di paure, lutti, mancanza di prospettive e perdita (di nuovo!) di punti di riferimento e allora il nostro sistema emotivo ha iniziato a vacillare, ad accusare lo stress di tutti i mesi in cui abbiamo “tenuto insieme” noi stessi, le nostre famiglie e l'emergenza tutta intorno. In questa seconda fase emotiva, abbiamo perso la reattività traumatica che avevamo inizialmente e la mente ha lasciato spazio più spesso a stati di ipo-attivazione e resa: la “pandemic fatigue”, la sindrome da rassegnazione, depressione, spesso nei più giovani un rifiuto del cibo, della socialità e un ritiro dalla vita.

La mente umana è fatta per sopportare bene lo stress, anche quando acuto e persistente, anche quando il dolore fisico e emotivo appaiono insopportabili, ma abbiamo pur sempre dei limiti fisiologici, emotivi, somatici, mentali che è necessario conoscere e ri-conoscere per navigare al meglio le situazioni difficili. Sapere come alimentare, in una parola, la nostra personale Resilienza.

L'adattamento post-traumatico è fatto per tutti noi di onde alte di grande attivazione, reattività, lotta e onde molto basse di disattivazione, spegnimento, resa. É importante sapere come atterrare dalle onde alte e come risalire dalle quelle basse, ma soprattutto è centrale per ognuno di noi trovare un modo di mantenerci sulla superficie del mare, surfando sulle onde mentre siamo saldi in equilibrio, senza opporci al movimento ma guardando sempre avanti.

Da qui nascono i contributi di questo secondo E-book AISTED (qui è possibile consultare la prima Edizione), che speriamo possa raggiungere colleghi, operatori e cittadini in difficoltà, con l'obiettivo di offrire strumenti di riflessione ed esercizi pratici da seguire ogni giorno per mantenere, ora e per il futuro, un buon equipaggiamento utile a navigare al meglio in ogni momento, a partire da una maggiore consapevolezza di ciò che alimenta la nostra capacità di adattamento.

Fondamentale dunque iniziare a coltivare una cura di sé quotidiana, profonda e trasformativa che permetta di mantenere sempre accessibile la propria vitalità, passione, forza e che aiuti a passare dal sopravvivere quotidiano al vivere pienamente il presente in ogni suo aspetto (Cristiana Chiej e Viola Galleano, pag. 7). La conoscenza dei meccanismi neurofisiologici di accumulo dello stress legati alle esperienze traumatiche, illustrati nel contributo su Peter Levine, ci ha aiutato a trovare esercizi e modalità di scarico che ognuno di noi può sperimentare, ricordando che lo stress produce una reazione nel corpo e nella mente che è innanzitutto fisiologica e non patologica (Alberto Dazzi, pag. 15). La difesa dei propri confini emotivi è poi un regolatore centrale della nostra vita familiare, lavorativa e sociale: dire di “no” come gesto regolatore, cioè coltivare il diritto di difendere il proprio territorio emotivo-somatico-relazionale è un altro ingrediente prezioso per nutrire la nostra salute, forza e aumentare un senso di sicurezza indispensabile a restare dentro una “finestra di tolleranza emotiva” ottimale (Raffaele Avico, pag. 22). Mai abbastanza cura e attenzione sarà data all'osservare stili di vita adeguati a mantenere la nostra salute, fisica, psichica ed emotiva: spesso quest'area è lastricata di ottime intenzioni, ma siamo davvero consapevoli dei gesti e delle scelte che ogni giorno facciamo per mantenerci in salute ogni giorno? Osserviamoci (Donatella Masante, pag. 29). La stabilizzazione e l'accesso delle risorse è possibile anche grazie a strumenti terapeutici specifici e ormai centrali nella cura del trauma, come l'EMDR, che oltre che uno strumento evidence-based di elaborazione delle memorie traumatiche, è al tempo stesso un grande strumento di stabilizzazione e regolazione del senso di sicurezza e di radicamento nel presente (Sara Ugolini, pag. 38). Il respiro: fonte di ispirazione in molte discipline è la più semplice e la più preziosa ricchezza che abbiamo, sempre a portata di mano e enormemente flessibile nel regolare ogni stato emotivo, di ipoattivazione o di iperattivazione. Imparare a regolare una funzione fisiologica che di solito avviene senza la nostra consapevolezza, può aiutarci enormemente a coltivare un balance autonomico ottimale per vivere il presente e osservare “dove siamo” quel giorno, quel momento e quanto le situazioni esterne che viviamo vibrano e risuonano dentro di noi attraverso il respiro (Laura Fino, pag. 46). Ultimo contributo anch'esso cruciale nell'equipaggiamento di ognuno di noi è la Mindfulness, come pratica quotidiana ma forse soprattutto come stato della mente da coltivare ogni giorno. Con una guida esperta e l'attenzione adeguata ai segnali di stress, può diventare uno strumento centrale per navigare in mare aperto con tutti i rischi che comporta, ma restando centrati e saldi sulle proprie risorse (Martina Stagi, pag. 55). Infine, uno strumento innovativo come il Safe and Sound Protocol può riconsegnarci alla posizione di sicurezza attraverso un ascolto attivo di alcune composizioni musicali studiate nel contesto della teoria polivagale di Stephen Porges, centrale per la psicoterapia trauma-informed (Gabriele Einaudi, pag. 67).

Dalla lettura di questi contributi emerge come la Stabilizzazione non sia una tecnica o un insieme di tecniche di rilassamento, ma un processo ricco e complesso da alimentare in ogni momento, in fasi acute di vita ma soprattutto nei momenti buoni, ed è un processo che può guidarci in due direzioni entrambe importanti: il radicamento pieno nel momento presente, l'accesso alle risorse migliori possibili che abbiamo dentro e fuori di noi, e l'ampliamento della coscienza di tutto quello che c'è, che siamo e che possiamo affrontare.

 

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Indice contributi e autori:

Cristiana Chiej e Viola Galleano (pag. 7) The Therapist is present and (Self) caring Il ruolo essenziale dell’autocura nella fase di stabilizzazione

Alberto Dazzi (pag. 15) Introduzione a Somatic Experiencing®

Raffaele Avico (pag. 22) Stabilizzazione e Confini: mettere paletti per regolarsi

Donatella Masante (pag. 29) Stili di vita, stabilizzazione e psicoterapia

Sara Ugolini (pag. 38) L’utilizzo dell’abbraccio della farfalla e del tapping per la stabilizzazione

Laura Fino (pag. 46) Il respiro: una risorsa a portata di mano

Martina Stagi (pag. 55) Il contributo delle pratiche di MINDFULNESS nella Fase di stabilizzazione dei sintomi post-traumatici

Gabriele Einaudi (pag. 67) Il Safe and Sound Protocol come strumento per la stabilizzazione

 

Ringraziamo tutti i soci che hanno contribuito a questo viaggio, grazie alla loro esperienza,

guida sicura e passione nel lavoro sul trauma. Buona lettura!

 

Giovanni Tagliavini (Presidente AISTED)

Camilla Marzocchi (Consigliere AISTED)

Raffaele Avico (curatore Ebook, socio AISTED) 

Prassi Giudiziarie e Lavoro Socio-Sanitario: Indagine Gruppo Forense AISTED

Minori e Giustizia

Prassi Giudiziarie e Lavoro Socio-Sanitario:

Analisi conoscitiva sulla percezione dell'impatto del Trauma e della Dissociazione e sulla qualità dei servizi

***Per info: forense@aisted.it***

Monica Romei, Alessia Tomba, Massimo Portas

 

Il cuore della mission di AISTED è Promuovere nella Società Italiana l'ampliamento delle conoscenze riguardo a Trauma e Dissociazione e riguardo a ogni disturbo collegato a traumatizzazione cronica,  contribuendo alla diffusione delle conoscenze sulle conseguenze di esperienze e/o eventi traumatici per gli individui e per la comunità. 

Questo obiettivo ci ha posizionato sin da subito su un problema centrale: quanto i servizi che si occupano di tutela, cura e trattamento del disagio psichico conseguente a trauma, siano effettivamente trauma-informed? Intendendo con questo la condivisione di una chiara, condivisa e aggiornata cornice di comprensione clinica e sintomatologica degli effetti emotivi, cognitivi, comportamentali e relazionali. La seconda domanda è quindi: quanto i servizi con un buon livello di conoscenza sulle prassi trauma-informed, riescano ad integrare queste prassi nella pratica quotidiana?

Le neuroscienze hanno dato un grande contributo nella comprensione di molte psicopatologie trauma correlate e abbiamo a disposizione autorevoli Linee Guida che ci orientano in questa direzione, ma ancora molto si può fare per far crescere la consapevolezza e la conoscenza psicotraumatologica (per approfondimenti: Linee Guida ESTD per Interventi su Infanzia e Adolescenza (italiano); Linee Guida ISTSS per Adulti in inglese).

L'ambito che ci è parso sin da subito centrale è quello che riguarda l'Area Forense e tutto ciò che coinvolge l'ascolto delle vittime, minori e adulti, che hanno vissuto traumi e abusi, e di come "funziona" nella realtà odierna l'incontro di queste persone con operatori, tecnici, consulenti, clinici e chiunque entri in relazione con loro durante l'intero, spesso lungo, iter giudiziario. (per approfondimenti, cfr. Il trauma nelle aule giudiziarie: una fotografia dello stato dell'arte in Italia).

Il gruppo Forense di AISTED sta promuovendo una breve indagine che si propone di fare una prima analisi conoscitiva su quanto i professionisti del settore abbiano la percezione che le prassi giudiziarie siano trauma informed, ovvero quanto sia diffusa nei servizi giudiziari una cultura volta al riconoscimento, alla comprensione, al contrasto e alla cura di tutti i tipi di traumatizzazione.


Tale iniziativa sarà importante per comprendere meglio il funzionamento dei servizi su scala nazionale, mappare la realtà dei diversi territori coinvolti e costruire nuove possibili prospettive migliorando la qualità del lavoro. I risultati della presente indagine saranno, infine, pubblicati sul sito dell'associazione: https://www.aisted.it/
 

Al seguente link è possibile partecipare (in forma anonima) alla nostra indagine:

CLICCA QUI PER INIZIARE

 

Con la richiesta di collaborare nella diffusione dell'iniziativa, nei diversi territori regionali e nelle diverse reti professionali,

Ringraziamo tutti per la collaborazione,

Buon lavoro!

Referenti Gruppo Forense AISTED

Monica Romei, Alessia Tomba

mail e contatti: forense@aisted.it

Ricerca sui Disturbi Dissociativi: validazione Scala PITQ di Bethany Brand

Gruppo Ricerca PITQ

Gruppo di ricerca PITQ

Costanzo Frau, Alessandro Musetti, Ursula Catenazzi

Per info: pitq2020@gmail.com

A tutti i soci AISTED

La ricerca sul trattamento del Disturbo Dissociativo di Identità (DDI) e dei disturbi dissociativi gravi è rara e ha trovato molte difficoltà per la mancanza di affidabilità e di strumenti di misura validi per la valutazione dei progressi terapeutici in questa popolazione clinica.
Il nostro lavoro con pazienti così complessi, in cui l'intervento a fasi richiede anni di terapia potrebbe avvalersi del PITQ - Progress In Treatment Questionnaires - un test che valuta l'andamento della terapia e che parallelamente può essere utilizzato durante il colloquio come strumento terapeutico per il lavoro con le parti.
Ho presentato al gruppo ricerca dell'Associazione Italiana per lo Studio del Trauma e della Dissociazione (AISTED) questo test con l'intenzione di validarlo in lingua italiana e renderlo disponibile a tutti i terapeuti che lavorano con i disturbi dissociativi.

CLICCA QUI PER VEDERE IL VIDEO DI PRESENTAZIONE DELLA RICERCA!


Bethany Brand, una delle autrici fa parte di un gruppo di ricerca internazionale per la valutazione dei trattamenti piú efficaci per i disturbi dissociativi (TOP-DD) (Vedi https://topddstudy.com/pitq.php). Nel processo di validazione della versione italiana che sto portando avanti con i colleghi ricercatori Alessandro Musetti e Ursula Catenazzi abbiamo bisogno della collaborazione di almeno 100 coppie di terapeuti-pazienti.
La validazione del PITQ-t e PITQ-p non richiede un eccessivo impegno per il terapeuta che deciderà di collaborare, dato che la somministrazione dei test avverrà in un'unica fase.

Potranno partecipare alla ricerca i terapeuti che lavorano con i disturbi dissociativi e che seguono un paziente con disturbo dissociativo da almeno 3 mesi. Crediamo che con la collaborazione di tutti possiamo rendere disponibile per i clinici italiani questo importante test per la valutazione del trattamento dei DD.

 

Costanzo Frau
Socio AISTED, Referente Italiano ESTD

Per info: costanfrau@gmail.com

Report dal Workshop con Lisa Schwarz

Lisa Schwarz CRM

"I Paradossi, le Radici, la Guarigione"

24 Gennaio 2021 AISTED

Anche quest'anno abbiamo aperto l'Anno Associativo con un evento che riportasse al centro alcuni principi ispiratori del nostro Statuto e della nostra vita associativa: esplorare il panorama internazionale attuale nell'ambito della clinica del trauma complesso e della dissociazione, offrire uno sguardo aperto e integrato alle soluzioni cliniche nuove per arricchire i nostri strumenti terapeutici attuali, restare ben radicati nel perimetro della ricerca neuroscientifica sul trauma, come cornice di lavoro e di comprensione rigorosa e imprescindibile nella concettualizzazione del paziente, della sua storia, dei suoi sintomi e delle sue strategie di adattamento agli eventi avversi.

Lisa SchwarzCome con Roger Solomon lo scorso 25-26 Gennaio 2020 a Milano, anche quest'anno con Lisa Schwarz abbiamo deciso di offrire a tutti i soci AISTED l'opportunità di ascoltare una voce fuori dal coro, per confrontarci insieme su come da una diversa concettualizzazione e metodologia clinica, si possa lavorare in modo profondo e trasformativo tenendo ben saldi alcuni aspetti e principi centrali comuni del delicatissimo lavoro di elaborazione sul trauma e sulla dissociazione cui tutti noi ci dedichiamo.

Il Workshop del 24 Gennaio si è concentrato sul tema del “Paradosso nel trattamento dei disturbi dissociativi”, con l'obiettivo di presentare i fondamenti essenziali e i principi ispiratori del più ampio e complesso lavoro che la Schwarz propone nel suo Comprehensive Resource Model (CRM).

Per i Soci AISTED, trovate qui accesso alla Dispensa integrale in Area Riservata!

 

La guarigione.

L'intervento di Lisa Schwarz colpisce sin da subito: la prima considerazione su cui ci porta con forza e determinazione è l'idea che il processo di guarigione del singolo non riguardi solo la stanza della terapia, ma si rifletta inevitabilmente in un lavoro di guarigione globale di tutta l'umanità e che la guarigione sia soprattutto un viaggio di ampliamento della propria coscienza personale che comporta l'attraversamento del dolore del passato e l'accettazione della Verità della Vita come unica via verso l'integrazione e dunque verso la salute, mentale, emotiva, fisica e spirituale. Il concetto di Verità della Vita è vicino all'idea del graduale processo di Realizzazione, Presentificazione e Personificazione delle esperienze del passato (Van der Hart, Nijenhuis, Steel, 2011), che è l'esatto contrario di quello che avviene nel trauma in cui la mente invece si distacca e disorganizza proprio allo scopo di Non-Realizzare quello che risulta un dolore emotivamente intollerabile e sopraffacente per la mente umana. La Verità della Vita per Lisa Schwarz rappresenta tutto questo processo e allo stesso tempo un obiettivo terapeutico fondamentale da costruire strato dopo strato e nel rispetto assoluto della sicurezza emotiva, ma insieme aggiunge immediatamente qualcosa in più: una dimensione spirituale e collettiva che colloca il lavoro terapeutico in una cornice di senso nuova e inclusiva verso ogni sfumatura presente in ogni esperienza umana e dunque anche nel trauma. La “sacralità” del percorso di scoperta di sé appare centrale nel commitment alla terapia e ci dice già molto dell'energia necessaria a tutto il complesso processo di guarigione.

 

I paradossi, le radici, gli ostacoli.

Nella condizione umana risiede la verità secondo cui non c'è soluzione al paradosso: il più potente tra essi è il bisogno di amore e la contemporanea presenza di paura.” (Lisa Schwarz)

Devo attaccarmi per sopravvivere, se mi attacco potrei morire.” Il paradosso con cui iniziamo a ragionare con Lisa è il più difficile, ma allo stesso costituisce la radice primaria di tutti i paradossi successivi: il trauma d'attaccamento. Il paradosso che affiora nell'attaccamento disorganizzato e che siamo abituati a identificare come “paura senza sbocco” è il risultato di esposizione a eventi sopraffacenti e terrifici che hanno determinato nel sistema nervoso la necessità di una soluzione drastica per non sentire, il distacco/dissociazione. Nessun cervello umano può biologicamente tollerare una condizione prolungata di totale impotenza e terrore e la via d'uscita è appunto il paradosso: la mente inizia a frammentarsi per compartimentalizzare il dolore e per bloccare le reazioni primitive che non servono alla sopravvivenza, ma questo processo allo stesso tempo crea ostacoli e strategie stereotipate che resteranno lì anche molto dopo la loro utilità, fino a diventare ostacoli alla piena realizzazione ed espressione del proprio percorso evolutivo.

Alcune credenze ad esempio possono essere contemporaneamente la fonte di dolore e la soluzione per evitare di riesporsi a quel dolore: “Non sono amabile”, “Non merito amore”, “Non ho bisogno di nessuno per vivere”, “Potrei essere inumano, alieno”, “Non dovrei esistere”, “Non esisto”. Il paradosso dell'attaccamento dunque è la radice che crea altri paradossi necessari all'adattamento e al portare avanti la vita quotidiana, nonostante la continua e persistente condizione di minaccia. Sappiamo che quando la minaccia è unica e isolata, non richiede questo grado di trasformazione e adattamento, ma quando la minaccia si fa ripetitiva e cumulativa la mente e il cervello iniziano a modificarsi su tutti i livelli (fisiologico, somatico, emotivo, cognitivo) per garantire la sopravvivenza migliore possibile.

Il dolore della Radice primaria per Lisa Schwarz origina in questo tipo di esperienze intollerabili della prima infanzia ed è lo strato più profondo e importante da elaborare, ma è anche il più “presidiato” dalle difese animali primitive (attacco, fuga, congelamento, sottomissione, resa/distacco) che sono dovute intervenire nel passato e che continuano a riattivarsi nel presente ogni volta che il processo terapeutico si avvicina a quello strato di sofferenza.  Per questo è importante osservare tutti i livelli di paradosso, dalla radice originaria alle ramificazioni successive che avvolgono e proteggono il dolore, ma che allo stesso tempo creano gli Ostacoli alla guarigione.

Alcuni esempi che tutti noi incontriamo continuamente in terapia e nelle narrazioni:

Non riesco a collegarmi con gli altri, non riesco a stare da solo.”

Io SONO questo, io NON sono questo.”

Ho paura di morire, sono eterno.”

Sono potente, sono vulnerabile.”

Essere potenti non è sicuro, essere impotenti non è sicuro.”

Non sono abbastanza, sono troppo.”

Ho diritto di difendermi, non posso fare niente per difendermi.”

La rabbia è la mia forza, la rabbia è la mia prigione.”

Elaborare i paradossi. Nel corso della terapia è cruciale intercettare ogni singolo paradosso che affiora nelle narrazioni dei pazienti e seguire a ritroso la trama che i paradossi hanno intracciato nello sviluppo dell'individuo, per poter decostruire e smantellare gradualmente tutto quello che la mente ha dovuto costruire per evitare o tollerare meglio il dolore. Gli elementi essenziali del lavoro della Schwarz appaiono in parte assimilabili a quello che siamo abituati a considerare nella concettualizzazione della Dissociazione Strutturale della Personalità (Van der Hart, O., Nijenhuis, E.R.S., Steel, K., 2011): la presenza di difese primitive bloccate nelle memorie traumatiche che entrano in conflitto nel presente con i bisogni dell'Adulto e con le parti della personalità che hanno strutturato difese di evitamento verso le sensazioni, le emozioni o i ricordi disturbanti. I conflitti tra parti o fobie tra parti, come siamo abituati a concettualizzarli grazie ai noti lavori clinici di Dolores Mosquera e Anabel Gonzalez (2015), Jim Knipe (2019), Kathy Steele, Suzette Boon, Onno Van der Hart (2017), Janina Fisher (2017) ed altri, vengono qui considerati e affrontati in modo diverso: il focus proposto dalla Schwarz è di osservare e “restare” innanzitutto nella tensione somatica creata dai due poli contrapposti del paradosso, allo scopo di abbassare il livelli di reattività del circuito neurochimico collegato, riconoscerne la funzione emotiva nel passato ma anche di smantellarne l'utilità nel presente, senza avviare un effettivo confronto tra le parti, ma mantenendo l'attenzione nel qui ed ora, saldamente centrata tra i due poli del paradosso.

Lavorare con ogni lato del paradosso separatamente e senza alcun attaccamento all'esito, né desiderio di risultato: significa lavorare con le radici che alimentano ogni lato del paradosso. Ciò significa smantellare l'intensità e la neurobiologia del circuito che lega il paradosso al sistema nervoso autonomo (SNA), lavorando attraverso le emozioni e il dolore originali che guidano ogni lato del paradosso senza alcuna intenzione di cambiare quel "lato" del paradosso.” (Lisa Schwarz)

Non sempre dunque è necessario elaborare queste tensioni attraverso un lavoro diretto ed esplicito sulle Parti emotive o Parti dissociative, sebbene a volte sia indispensabile, ma più spesso secondo la Schwarz è importante stare sulla tensione fisiologica per accompagnare la mente a lasciar fluire e uscire dal sistema emotivo la tensione che ha creato a monte il paradosso, in modo tale che il paradosso stesso non sia più necessario e non si attivi più in automatico.

In questo processo emergono ovviamente molti Ostacoli, che presidiano l'accesso al dolore e ne impediscono la risoluzione. I primi e più importanti ostacoli da indentificare per la Schwarz sono:

- la Paura di un percorso terapeutico intenso: paura di Ricordare, paura di Vivere emozioni/dolori insopportabili che non sono mai stati esperiti pienamente, che hanno tolto il respiro, che hanno cambiato tutto "per sempre"; paura di Esperire la Verità della Vita (VdV) in modo viscerale anziché solo come narrazione, paura di Esperire la Verità della Vita con i genitori che sono stati nella realtà e nei limiti, paura di Essere in una relazione sana con il sé e con l’altro; paura di perdere il controllo.

- la Paura della Guarigione: la paura di cambiare la propria identità (se guarisco perderò il mio status di vittima); la paura di dover essere un adulto responsabile (non mi è mai stato permesso di essere un bambino quindi mi rifiuto di essere un adulto ora); la paura di avere il controllo; la paura di scegliere; la paura di lasciarsi qualcuno alle spalle.

Gli Ostacoli potrebbero essere tutti concettualizzati come fobie – fobia dello stato interno, fobia di una o più parti, fobia verso le emozioni o azioni di una o più parti,.. - e si possono presentare in tutto l'arco del processo terapeutico con varie manifestazioni cliniche: disregolazione emotiva, comportamenti autolesivi o suicidari, alti livelli di vergogna, aumento di comportamenti di dipendenza affettiva, rifiuto a fare pratica tra una seduta e l'altra, conflittualità nelle relazioni. Le strategie di intervento possono essere molte, ma su tutte il focus su cui ci invita la Schwarz è di nuovo duplice, elaborare la tensione creata dall'Ostacolo procedendo simultaneamente su due fronti: da un lato smantellare cognitivamente le credenze disfunzionali che mantengono gli ostacoli attivi e dall'altro aiutare l'Adulto del presente ad elaborare fisiologicamente e somaticamente la paura che sta sotto l'ostacolo e che si apre via via che l'ostacolo viene smantellato. La Paura è sempre l'emozione primaria che si trova sotto l'Ostacolo. Quindi di nuovo l'Ostacolo non è solo una difesa o solo una fobia o solo una Parte emotiva o solo una Parte perpetratrice, ma è l'insieme delle polarità che lo hanno strutturato e le contiene tutte. In questa chiave l'Ostacolo diventa l'insieme di più tensioni che vanno osservate nella loro interezza, nel loro presentarsi insieme nel momento presente.

 

Le risorse, la sicurezza.

L'elaborazione delle memorie traumatiche non significa raggiungere, provare o stimolare reazioni emotive intense. Spesso nel lavoro sul trauma possono avvenire forti abreazioni o svilupparsi emozioni molto intense, che non sempre sono tuttavia il segnale di una buona o completa elaborazione emotiva. Il lavoro di elaborazione con le Radici del dolore, e cioè con gli eventi traumatici generatori delle emozioni di terrore e impotenza, implica un contatto pieno e diretto con il dolore così come è stato all'origine, ma a partire da una solida centratura nel presente e nelle risorse del presente. Lo scopo della elaborazioni non è rivivere il dolore, ma sentire oggi di poterlo attraversare nella sua interezza e con ogni dettaglio presente nella memoria (sensoriale, somatico, emotivo, cognitivo), senza omissioni ma senza esserne sopraffatti. In questa chiave la “paura senza sbocco” è considerata dalla Schwarz una credenza disfunzionale del paziente, emotivamente connessa al terrore del passato, ma è molto importante come terapeuti del trauma ricordare e sapere che nel presente dell'Adulto e nel presente della seduta terapeutica lo sbocco c'è ed è nel processo di elaborazione di quella tensione e di quel dolore, elaborazione che permette al cervello di ritrovare la sicurezza prima fisiologica e poi emotiva per tenere insieme e intera la coscienza di sé e della propria storia. Un dettaglio scontato forse, ma non sempre così facile da tenere vivo e presente nella stanza della terapia.

Spesso nei terapeuti del trauma c'è l'urgenza di lavorare sulle Radici del dolore senza sufficiente cura nel creare le Risorse nel presente o al contrario c'è una tendenza ad evitare il dolore alla Radice, perché si è condizionati dal desiderio di proteggere o dalla convinzione che non ci sia davvero soluzione per sopportarlo e superarlo. Entrambe le posizioni possono diventare Ostacoli alla guarigione. Essere troppo accudenti o compassionevoli, può allontanare dal processo di guarigione, esserlo troppo poco rischia di far sentire il paziente inadeguato o spaventato di fronte alle richieste della terapia: esserlo fino in fondo per la Schwarz vuol dire stare accanto al dolore con determinazione, ma con una mappa chiara di lavoro, con una cognizione precisa di quello che succede momento per momento e disposti a fare scelte coraggiose di fronte alle emozioni più intense e disturbanti.

Il modello di terapeuta proposto dalla Schwarz è un modello di terapeuta che tiene saldamente in mano la rotta e la visione complessiva del processo terapeutico e che è in grado di co-regolare la finestra emotiva del paziente, con compassione e fermezza. Non attraverso lo sviluppo di un attaccamento sicuro verso di sé come esperienza riparativa, processo che la Schwarz considera pericoloso e inefficace soprattutto con pazienti molto disorganizzati, ma al contrario aiutando il paziente a sviluppare nel suo sistema emotivo il giusto grado di commitment e responsabilità nel cercare la sicurezza e le risorse all'interno e non fuori.

Costruire le Risorse è dunque, di nuovo, un lavoro sincrono su due Radici: quella dell'attaccamento/accudimento che permette di creare condizioni di sufficiente sicurezza nel presente della terapia e quella dell'esplorazione che stimola curiosità e una realistica speranza di poter stare meglio, guidando il paziente a trovare risorse e strategie più efficaci per navigare e regolare le sue emozioni.

In questa ottica l'aspetto cruciale non è solo creare le Risorse, ma soprattutto creare l'Accesso alle Risorse nell'esatto momento del bisogno, aspetto banale ma non sempre adeguatamente considerato e valutato. Spesso i pazienti mostrano un alto funzionamento e buone risorse per gestire la vita quotidiana, anche in presenza di gravi sintomi dissociativi. Tuttavia negli episodi di disregolazione, amnesia o dissociazione quello che succede è che nessuna risorsa compare nel sistema, quello che è accessibile nella vita quotidiana risulta non presente o completamente irraggiungibile o inefficace nel regolare il dolore che affiora. Questo rischia di riproporre durante il lavoro terapeutico i sentimenti di impotenza verso le emozioni del passato e di “rinnovare” il dolore, anziché attraversarlo per superarlo. Come mettere le Risorse al servizio del sistema emotivo e dell'elaborazione del dolore?

 

Il Double Dutch.

Letteralmente il “Doppio Olandese” è un gioco derivato dal salto alla corda, in cui si impiegano due corde che vengono girate in due direzioni opposte. La persona o il gruppo di persone che saltano all'interno di queste corde spesso alternano mosse ginniche o di break dance per riuscire ad “entrare” nella finestra temporale giusta che permetta il salto all'interno dello spazio che il movimento armonico delle due corde crea di volta in volta.

La metafora proposta dalla Schwarz rende la complessità e insieme l'equilibrismo spesso necessari nel lavoro di elaborazione delle memorie traumatiche, ma allo stesso tempo permette di realizzare immediatamente che per la riuscita completa di un buon processo di integrazione è necessario considerare più aspetti nello stesso momento, e tutti importanti.

L'immagine del Double Dutch esprime al meglio questa sincronicità: il graduale avvicinamento alla “corda” del Trauma, che è la parte più difficile da elaborare, deve essere garantito dalla presenza sincrona della “corda” delle Risorse. Non solo prima o dopo quindi, ma durante tutto il lavoro.

Anche qui torna il filo conduttore del workshop e del modello della Schwarz: il lavoro terapeutico non è solo sequenziale nell'affrontare diversi aspetti del trauma o diversi eventi avversi, ma è sempre anche un lavoro che muove contemporaneamente su più strati e ogni clinico deve essere allenato a leggere e interpretare tutti i livelli di attivazione coinvolti in ogni singolo momento del lavoro terapeutico. Il piano neurochimico e fisiologico delle risposte di Difesa primitive, incrocia il sistema di attaccamento e i livelli superiori di regolazione emotiva ed elaborazione cognitiva. Solo quando è possibile sincronizzare perfettamente tutti i circuiti coinvolti in una memoria, si crea la finestra temporale perfetta per “saltare” nei ricordi e processarli in sicurezza, seguendo un processo organico di integrazione di quell'evento nella storia dell'individuo, sul piano fisiologico, somatico, emotivo e infine cognitivo, tale da modificarne l'impatto nel presente.

***

Molti modelli e tecniche terapeutiche di lavoro sul trauma e sulle memorie traumatiche, stanno registrando oggi la complessità di questo lavoro e la necessità sempre più chiara a tutti i clinici e psicotraumatologi che quando si lavora con il trauma complesso e con la dissociazione il lavoro diventa meno lineare: il processo di elaborazione deve in questi casi necessariamente intrecciarsi alla continua e costante ricerca di ancoraggio al presente, in modo più attento e accurato rispetto a quando si lavora con persone che hanno vissuto un trauma singolo, che non presentano una struttura dissociativa e che riescono ad accedere in modo più diretto alle risorse interne.

In modo trasversale a tanti diversi approcci terapeutici che lavorano sul trauma (EMDR, CBT Trauma-Focused, Terapia Sensomotoria), solo per citarne alcuni, appare sempre più chiaro che la Stabilizzazione nei casi complessi con sintomi dissociativi non sia da considerarsi solo una fase preparatoria e al servizio della successiva fase di Elaborazione, come nell'originaria formulazione del Modello Trifasico (Pierre Janet), ma debba essere considerata essa stessa un processo trasformativo: che permette cioè a chi non ha potuto vivere e consolidare nell'infanzia alcuna esperienza di protezione nel proprio sistema interno, di creare nel presente e mantenere uno stato di sicurezza neurobiologico e neurochimico a livello cerebrale e corporeo, anche quando non c'è una sufficiente sicurezza emotiva.

Solo questo solido accesso alle Risorse può garantire il corretto processamento della memoria, restando pienamente connessi al passato, pienamente connessi al presente e finalmente in grado di integrare e ampliare la coscienza in entrambe le direzioni, senza lasciare indietro niente e potendo finalmente esplorare ogni angolo della mente senza paura.

Il lavoro con le Parti: di cosa parliamo? Quando serve?

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Che cosa sono le parti dissociative e come o quando introdurre il linguaggio delle “parti”?

di Cristiana Chiej

Dall’articolo di Dolores Mosquera pubblicato nella Newsletter ESTD, volume 10, numero 3, Dicembre 2020

 

Chi lavora con storie di pazienti con trauma complesso sa che questo implica il doversi continuamente confrontare con le parti dissociative e le sfide che ne derivano, incluso l’utilizzo appropriato del linguaggio delle parti.

In questo interessante articolo Dolores Mosquera dà risposta alle domande che più frequentemente emergono su questo tema fondamentale e delicato, accompagnandoci in una riflessione proprio sulle parti dissociative e sul modo in cui è opportuno parlarne in seduta con i pazienti.

 

  • Che cosa sono le parti dissociative?

Questi pazienti non sperimentano un senso di sé unitario: l’esperienza del non-me è l’essenza del disturbo dissociativo. Le parti dissociative spesso hanno una loro distinta prospettiva in prima persona, un loro distinto senso d’identità, che emerge nel modo in cui i pazienti parlano della loro esperienza interna, come se appartenesse a qualcun altro. Questa mancanza di personificazione è testimoniata dall’uso frequente della terza persona per descrivere ciò che sentono, vedono o notano rispetto alle parti dissociative, come fossero persone diverse.

Certamente non tutte le parti hanno un senso d’identità così distinto: le parti emotive bloccate al tempo del trauma, ad esempio, non hanno una loro memoria autobiografica né una distinta prospettiva in prima persona, ma vengono comunque percepite dai pazienti come estranee, poiché non riescono a controllarle e sentono che queste parti agiscono in modo autonomo. Queste parti non sono orientate nel tempo né consapevoli della realtà presente, e per questo motivo è così difficile lavorare con loro.

 

  • Come distinguere le parti dissociative dagli stati dell’io?

Gli stati dell’io sono diversi dalle parti dissociative perché non vengono percepiti come estranei, hanno confini più permeabili e non vi è amnesia né un’autobiografia separata. Permangono un senso di sé unitario al di là delle singole rappresentazioni mentali,

la prospettiva in prima persona ed un senso di appartenenza alla persona nella sua interezza.

In alcuni casi di trauma complesso o disturbi dissociativi è possibile trovare stati dell’io con confini meno permeabili e una certa amnesia rispetto al passato, ma non rispetto al presente. Il paziente sa che sono parti di sé, ma non le sente come tali. Secondo Mosquera possono essere concepite come sulla linea di confine fra stati dell’io e parti dissociative, ma in questo caso non c’è l’evitamento fobico che si trova invece nelle parti dissociative più autonome ed elaborate.

L’autrice fa notare come anche il linguaggio usato dal paziente testimoni la differenza fra stati dell’io e parti dissociative: nel caso di stati dell’io, infatti, il linguaggio è più spesso metaforico e riflette una prospettiva in prima persona e un senso di appartenenza che mancano invece alle parti dissociative.

 

  • Quando e quando non usare il linguaggio delle “parti”?

In generale, secondo l’autrice, il modo in cui parla il paziente aiuta a capire se sia opportuno o meno usare il linguaggio delle 

parti. Parlare di parti può aiutare la persona a mantenere una distanza fra sé e un comportamento o un vissuto che non riconosce come proprio, non comprende o non gli piace. Ma non per tutti è così. La proposta è dunque di adeguare il proprio linguaggio, parlando esplicitamente di parti se il paziente sembra essere a proprio agio nel farlo ed evitandolo quando mostra disagio. Con, tuttavia, un’eccezione: quando l’uso del linguaggio delle parti rappresenta un modo per il paziente di non assumersi la responsabilità di un proprio comportamento. In alcuni casi, inoltre, i pazienti parlano delle loro parti come fossero persone diverse dentro di loro, attribuendo loro un’autonomia eccessiva. In queste circostanze, il suggerimento è di affiancare il nostro linguaggio delle parti al linguaggio usato dal paziente, tenendoli entrambi, come a creare un ponte.

 

  • Come lavorare con o parlare delle “parti” quando i pazienti non si sentono a loro agio nel riconoscere di avere delle parti?

Non sempre, infatti, i pazienti riconoscono facilmente di avere delle parti e sono disposti a parlarne in modo esplicito. Mosquera dà un utile suggerimento per uscire da questa difficoltà: esplorare l’esperienza interna del paziente insieme a lui, indagando l’eventuale presenza di conflitti interni o la difficoltà ad esprimere ad altre persone ciò che loro vivono. Il modo in cui i pazienti parlano, le parole che usano, aiutano il terapeuta a capire come vivono il loro mondo interno. E’ importante ricordare che alcuni termini, come “personalità” o “persone interne”, aumentano il senso di separatezza fra le parti, mentre altri, come ad esempio il termine “aspetti”, la sminuiscono, non rendendo conto del fatto che nelle parti vi sia una propria prospettiva in prima persona.

In conclusione, ciò che sottolinea l’autrice, è  l’importanza di adattare e personalizzare sempre l’intervento terapeutico ed il linguaggio in modo creativo. Sarà importante adeguare il proprio lessico in modo da comunicare ed esplorare l’esperienza interna del paziente facendolo sentire a suo agio, senza forzature.

 

Assemblea AISTED e Workshop con Lisa Schwarz, 24 Gennaio 2021

BUON NATALE!

Care socie e cari soci,
vi scriviamo per aggiornarvi sulle ultime notizie.

Nei mesi scorsi ci siamo confrontati nei vari gruppi, abbiamo studiato e riflettuto insieme sulle sfide che questo 2020 ci ha posto davanti e abbiamo fatto crescere la nostra rete in forza e partecipazione.
L'Ebook Gratuito "Affrontare il trauma psichico" ci ha permesso di raggiungere tanti colleghi, soci e non-soci, e cittadini che hanno potuto avere un aiuto in più nel mare di informazioni legate ai rischi di traumatizzazione cui tutti siamo stati e siamo esposti in questi mesi.

Con i Gruppi di lavoro saremo fermi fino a gennaio 2021, ma siamo lieti di annunciarvi in anteprima che inizieremo il Nuovo Anno con un evento GRATUITO per tutti i soci AISTED:

Il 24 Gennaio 2021: 
Seminario online con Lisa Schwarz + Assemblea generale 2021

LAVORARE CON I PARADOSSI NEL TRATTAMENTO DEI DISTURBI DISSOCIATIVI

Lisa Schwarz

 

Lisa Schwarz è una psicoterapeuta esperta di lavoro su trauma e dissociazione, ideatrice e sviluppatrice del Comprehensive Resource Model (CRM). Il CRM è un modello di terapia del trauma che pone al centro della guarigione l'attenzione a coltivare un senso di sicurezza di base per il paziente, sul piano innanzitutto fisiologico e somatico, come base per la guarigione. E' autrice principale di del testo The Comprehensive Resource Model®, Tecniche terapeutiche efficaci per la guarigione del trauma complesso. Lisa ha passato gli ultimi 35 anni a creare metodi efficaci per lavorare con PTSD complesso, disturbi dell'attaccamento, traumi gestazionali / generazionali ed espansione della coscienza. Vive a lavora a Pittsburgh, in Pennsylvania. Il suo lavoro collega la neuroscienza e la coscienza nella guarigione del trauma attraverso una combinazione di psicoterapia tradizionale, terapia somatica e metodi di guarigione indigeni. È una praticante certificata del Trauma Model di Colin Ross e della terapia Source Point di Robert Schrei. È addestrata in Usui Reiki, psicologia transpersonale e ha studiato il respiro e i concetti somatici di Richard Brown, MD, Jeremy Youst e Barbara Barnett.
 

IL SEMINARIO SI TERRA' ONLINE SU ZOOM E PRESTO VI INVIEREMO TUTTE LE INDICAZIONI

PER ISCRIVERSI E PARTECIPARE!

L'evento sarà gratuito per i soci in regola con il Rinnovo 2021.
Per chi non avesse già provveduto: 
IBAN: IT41K0311101616000000000144
Quota Associativa 2021: 40 euro

da inviare a: segretario@aisted.it

Per i non soci, sarà possibile iscriversi ad AISTED e partecipare all'evento: ISCRIVITI AD AISTED!

Sperando di vedervi presto,
Auguriamo a tutti un sereno Natale!

COMPRENDERE I DISTURBI DISSOCIATIVI: una guida per pazienti e familiari

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COMPRENDERE I DISTURBI DISSOCIATIVI
Una guida per i pazienti e i loro familiari


A cura di Costanzo Frau ed Emanuele Pasquali
Studio di Psicoterapia e Ricerca Trauma e Dissociazione (SPRTD)

L'iniziativa ha ottenuto il Patrocinio AISTED

di Costanzo Frau

La sintomatologia dissociativa non viene molto spesso indagata dai professionisti della salute mentale che lavorano nei servizi pubblici e negli studi privati. Questo nonostante il sintomo di depersonalizzazione sia molto frequente tra la popolazione clinica. Ledifficoltà nell'indagare questa sintomatologia dipendono sia dalla poca attenzione che nel corso degli anni è stata prestata alla categoria dei disturbi dissociativi sia alla difficoltà che ha il paziente nel descrivere questi stati della mente.


Eppure i disturbi dissociativi hanno una frequenza abbastanza alta. La prevalenza dei disturbi dissociativi complessi nella popolazione clinica è elevata, all’ incirca del 10% e solo il 5% di essi riceve una corretta diagnosi. Per esempio il Disturbo Dissociativo dell’Identità (DDI) presenta una prevalenza nella popolazione psichiatrica che varia tra l’1 e il 6% con una media, negli studi più estesi, del 4%.

Questa popolazione clinica riceve svariate diagnosi e solo dopo anni, se il clinico è formato, riceve quella corretta. Il paziente può per tale motivo non trovare una validazione e un riconoscimento del proprio stato di malessere.
Allo stesso modo i familiari o le persone vicine al paziente non sanno bene come comportarsi per poterlo aiutare.
Nato dalla collaborazione con l'Associazione Inglese "First Person Plural" e riprendendo i punti dell'opuscolo dell'Associazione "Mind", questo libriccino si pone come obiettivo quello di descrivere in termini semplici cosa sono i disturbi dissociativi, quali possono essere le cause e cosa possono fare i pazienti e i loro familiari quando ci si trova di fronte ad un disturbo dissociativo.
Alla fine del libriccino sono stati riportati dei contatti utili a cui si può fare riferimento per avere indicazioni sul trattamento e per qualsiasi altro chiarimento riguardo a tale problematica.


Per avere maggiori informazioni sul libriccino e per poterne ordinare delle copie contattare:


Dott. Costanzo Frau, Dott. Emanuele Pasquali
Studio di Psicoterapia e Ricerca Trauma e Dissociazione (SPRTD)
Email: psicoterapiaricercatd@gmail.com

Ri-Partiamo dalle Risorse!

Video Resourses ESTD

Di ritorno dall'estate, siamo di nuovo pronti a raccogliere insieme le nuove sfide cliniche dei prossimi mesi!

Nei mesi scorsi di incontri, intervisioni, ricerca ci siamo concentrati sulla situazione emergenziale e provato a dare risposte a tanti dubbi che hanno invaso gli spazi terapeutici, così come le nostre menti e quelle dei nostri pazienti.

La pandemia ci ha reso tutti più vulnerabili e impotenti, ma anche costretto a trovare risorse e resilienza in luoghi e spazi della mente spesso poco esplorati. Certamente ci ha fatto percepire quanto la rete di confronto possa essere importante per sentirsi protetti e per condividere i momenti critici, così come le sorprese e i risultati inaspettati che pure abbiamo raccolto nel lavoro terapeutico a distanza, per qualcuno già esplorato, per qualcuno completamente nuovo e sconosciuto.

Ripartiamo perciò da questa forza che ci è venuta dal confronto, condividendo alcune Risorse che la nostra rete europea European Society for Trauma and Dissociation (ESTD) ha messo a disposizione online nelle scorse settimane, a sostegno del lavoro di tutti i soci AISTED e ESTD:

Ellen K. K. Jepsen in "Towards a Safe Foothold in the Present":  "Verso un punto d'appoggio sicuro nel presente" per le persone che soffrono di trauma complesso o disturbi dissociativi. I video e i testi includono suggerimenti per la costruzione e l'utilizzo di varie strategie di grounding e contenimento e possono aiutare a gestire stress e traumi.

 

- Andrew Moskowitz in "Trauma, Dissociation and Attachment: An Analysis of Key Concepts and their Relationships" (accessibile gratuitamente solo per i Soci ESTD in Area Riservata): "Trauma, Dissociazione e Attaccamento: un'analisi dei concetti chiave e della loro interconnessione", Lo scopo di questo webinar è esplorare il significato e l'utilità dei concetti trauma e dissociazione, tracciare i cambiamenti nel loro significato e utilizzo dal XIX secolo ad oggi e proporre alcune linee guida su come comprenderli al meglio.

 

- Anabel Gonzalez in "Self-care of the therapist": "La cura di sé del terapeuta". I terapeuti che lavorano con il trauma devono lavorare sulla propria cura di sé. Ascoltare molte storie terribili nei nostri pazienti, mantenere una relazione terapeutica spesso impegnativa con i sopravvissuti a traumi, rendono molto importante la cura di sé del terapeuta.