"I Paradossi, le Radici, la Guarigione"
24 Gennaio 2021 AISTED
Anche quest'anno abbiamo aperto l'Anno Associativo con un evento che riportasse al centro alcuni principi ispiratori del nostro Statuto e della nostra vita associativa: esplorare il panorama internazionale attuale nell'ambito della clinica del trauma complesso e della dissociazione, offrire uno sguardo aperto e integrato alle soluzioni cliniche nuove per arricchire i nostri strumenti terapeutici attuali, restare ben radicati nel perimetro della ricerca neuroscientifica sul trauma, come cornice di lavoro e di comprensione rigorosa e imprescindibile nella concettualizzazione del paziente, della sua storia, dei suoi sintomi e delle sue strategie di adattamento agli eventi avversi.
Come con Roger Solomon lo scorso 25-26 Gennaio 2020 a Milano, anche quest'anno con Lisa Schwarz abbiamo deciso di offrire a tutti i soci AISTED l'opportunità di ascoltare una voce fuori dal coro, per confrontarci insieme su come da una diversa concettualizzazione e metodologia clinica, si possa lavorare in modo profondo e trasformativo tenendo ben saldi alcuni aspetti e principi centrali comuni del delicatissimo lavoro di elaborazione sul trauma e sulla dissociazione cui tutti noi ci dedichiamo.
Il Workshop del 24 Gennaio si è concentrato sul tema del “Paradosso nel trattamento dei disturbi dissociativi”, con l'obiettivo di presentare i fondamenti essenziali e i principi ispiratori del più ampio e complesso lavoro che la Schwarz propone nel suo Comprehensive Resource Model (CRM).
Per i Soci AISTED, trovate qui accesso alla Dispensa integrale in Area Riservata!
La guarigione.
L'intervento di Lisa Schwarz colpisce sin da subito: la prima considerazione su cui ci porta con forza e determinazione è l'idea che il processo di guarigione del singolo non riguardi solo la stanza della terapia, ma si rifletta inevitabilmente in un lavoro di guarigione globale di tutta l'umanità e che la guarigione sia soprattutto un viaggio di ampliamento della propria coscienza personale che comporta l'attraversamento del dolore del passato e l'accettazione della Verità della Vita come unica via verso l'integrazione e dunque verso la salute, mentale, emotiva, fisica e spirituale. Il concetto di Verità della Vita è vicino all'idea del graduale processo di Realizzazione, Presentificazione e Personificazione delle esperienze del passato (Van der Hart, Nijenhuis, Steel, 2011), che è l'esatto contrario di quello che avviene nel trauma in cui la mente invece si distacca e disorganizza proprio allo scopo di Non-Realizzare quello che risulta un dolore emotivamente intollerabile e sopraffacente per la mente umana. La Verità della Vita per Lisa Schwarz rappresenta tutto questo processo e allo stesso tempo un obiettivo terapeutico fondamentale da costruire strato dopo strato e nel rispetto assoluto della sicurezza emotiva, ma insieme aggiunge immediatamente qualcosa in più: una dimensione spirituale e collettiva che colloca il lavoro terapeutico in una cornice di senso nuova e inclusiva verso ogni sfumatura presente in ogni esperienza umana e dunque anche nel trauma. La “sacralità” del percorso di scoperta di sé appare centrale nel commitment alla terapia e ci dice già molto dell'energia necessaria a tutto il complesso processo di guarigione.
I paradossi, le radici, gli ostacoli.
“Nella condizione umana risiede la verità secondo cui non c'è soluzione al paradosso: il più potente tra essi è il bisogno di amore e la contemporanea presenza di paura.” (Lisa Schwarz)
“Devo attaccarmi per sopravvivere, se mi attacco potrei morire.” Il paradosso con cui iniziamo a ragionare con Lisa è il più difficile, ma allo stesso costituisce la radice primaria di tutti i paradossi successivi: il trauma d'attaccamento. Il paradosso che affiora nell'attaccamento disorganizzato e che siamo abituati a identificare come “paura senza sbocco” è il risultato di esposizione a eventi sopraffacenti e terrifici che hanno determinato nel sistema nervoso la necessità di una soluzione drastica per non sentire, il distacco/dissociazione. Nessun cervello umano può biologicamente tollerare una condizione prolungata di totale impotenza e terrore e la via d'uscita è appunto il paradosso: la mente inizia a frammentarsi per compartimentalizzare il dolore e per bloccare le reazioni primitive che non servono alla sopravvivenza, ma questo processo allo stesso tempo crea ostacoli e strategie stereotipate che resteranno lì anche molto dopo la loro utilità, fino a diventare ostacoli alla piena realizzazione ed espressione del proprio percorso evolutivo.
Alcune credenze ad esempio possono essere contemporaneamente la fonte di dolore e la soluzione per evitare di riesporsi a quel dolore: “Non sono amabile”, “Non merito amore”, “Non ho bisogno di nessuno per vivere”, “Potrei essere inumano, alieno”, “Non dovrei esistere”, “Non esisto”. Il paradosso dell'attaccamento dunque è la radice che crea altri paradossi necessari all'adattamento e al portare avanti la vita quotidiana, nonostante la continua e persistente condizione di minaccia. Sappiamo che quando la minaccia è unica e isolata, non richiede questo grado di trasformazione e adattamento, ma quando la minaccia si fa ripetitiva e cumulativa la mente e il cervello iniziano a modificarsi su tutti i livelli (fisiologico, somatico, emotivo, cognitivo) per garantire la sopravvivenza migliore possibile.
Il dolore della Radice primaria per Lisa Schwarz origina in questo tipo di esperienze intollerabili della prima infanzia ed è lo strato più profondo e importante da elaborare, ma è anche il più “presidiato” dalle difese animali primitive (attacco, fuga, congelamento, sottomissione, resa/distacco) che sono dovute intervenire nel passato e che continuano a riattivarsi nel presente ogni volta che il processo terapeutico si avvicina a quello strato di sofferenza. Per questo è importante osservare tutti i livelli di paradosso, dalla radice originaria alle ramificazioni successive che avvolgono e proteggono il dolore, ma che allo stesso tempo creano gli Ostacoli alla guarigione.
Alcuni esempi che tutti noi incontriamo continuamente in terapia e nelle narrazioni:
“Non riesco a collegarmi con gli altri, non riesco a stare da solo.”
“Io SONO questo, io NON sono questo.”
“Ho paura di morire, sono eterno.”
“Sono potente, sono vulnerabile.”
“Essere potenti non è sicuro, essere impotenti non è sicuro.”
“Non sono abbastanza, sono troppo.”
“Ho diritto di difendermi, non posso fare niente per difendermi.”
“La rabbia è la mia forza, la rabbia è la mia prigione.”
Elaborare i paradossi. Nel corso della terapia è cruciale intercettare ogni singolo paradosso che affiora nelle narrazioni dei pazienti e seguire a ritroso la trama che i paradossi hanno intracciato nello sviluppo dell'individuo, per poter decostruire e smantellare gradualmente tutto quello che la mente ha dovuto costruire per evitare o tollerare meglio il dolore. Gli elementi essenziali del lavoro della Schwarz appaiono in parte assimilabili a quello che siamo abituati a considerare nella concettualizzazione della Dissociazione Strutturale della Personalità (Van der Hart, O., Nijenhuis, E.R.S., Steel, K., 2011): la presenza di difese primitive bloccate nelle memorie traumatiche che entrano in conflitto nel presente con i bisogni dell'Adulto e con le parti della personalità che hanno strutturato difese di evitamento verso le sensazioni, le emozioni o i ricordi disturbanti. I conflitti tra parti o fobie tra parti, come siamo abituati a concettualizzarli grazie ai noti lavori clinici di Dolores Mosquera e Anabel Gonzalez (2015), Jim Knipe (2019), Kathy Steele, Suzette Boon, Onno Van der Hart (2017), Janina Fisher (2017) ed altri, vengono qui considerati e affrontati in modo diverso: il focus proposto dalla Schwarz è di osservare e “restare” innanzitutto nella tensione somatica creata dai due poli contrapposti del paradosso, allo scopo di abbassare il livelli di reattività del circuito neurochimico collegato, riconoscerne la funzione emotiva nel passato ma anche di smantellarne l'utilità nel presente, senza avviare un effettivo confronto tra le parti, ma mantenendo l'attenzione nel qui ed ora, saldamente centrata tra i due poli del paradosso.
“Lavorare con ogni lato del paradosso separatamente e senza alcun attaccamento all'esito, né desiderio di risultato: significa lavorare con le radici che alimentano ogni lato del paradosso. Ciò significa smantellare l'intensità e la neurobiologia del circuito che lega il paradosso al sistema nervoso autonomo (SNA), lavorando attraverso le emozioni e il dolore originali che guidano ogni lato del paradosso senza alcuna intenzione di cambiare quel "lato" del paradosso.” (Lisa Schwarz)
Non sempre dunque è necessario elaborare queste tensioni attraverso un lavoro diretto ed esplicito sulle Parti emotive o Parti dissociative, sebbene a volte sia indispensabile, ma più spesso secondo la Schwarz è importante stare sulla tensione fisiologica per accompagnare la mente a lasciar fluire e uscire dal sistema emotivo la tensione che ha creato a monte il paradosso, in modo tale che il paradosso stesso non sia più necessario e non si attivi più in automatico.
In questo processo emergono ovviamente molti Ostacoli, che presidiano l'accesso al dolore e ne impediscono la risoluzione. I primi e più importanti ostacoli da indentificare per la Schwarz sono:
- la Paura di un percorso terapeutico intenso: paura di Ricordare, paura di Vivere emozioni/dolori insopportabili che non sono mai stati esperiti pienamente, che hanno tolto il respiro, che hanno cambiato tutto "per sempre"; paura di Esperire la Verità della Vita (VdV) in modo viscerale anziché solo come narrazione, paura di Esperire la Verità della Vita con i genitori che sono stati nella realtà e nei limiti, paura di Essere in una relazione sana con il sé e con l’altro; paura di perdere il controllo.
- la Paura della Guarigione: la paura di cambiare la propria identità (“se guarisco perderò il mio status di vittima”); la paura di dover essere un adulto responsabile (“non mi è mai stato permesso di essere un bambino quindi mi rifiuto di essere un adulto ora”); la paura di avere il controllo; la paura di scegliere; la paura di lasciarsi qualcuno alle spalle.
Gli Ostacoli potrebbero essere tutti concettualizzati come fobie – fobia dello stato interno, fobia di una o più parti, fobia verso le emozioni o azioni di una o più parti,.. - e si possono presentare in tutto l'arco del processo terapeutico con varie manifestazioni cliniche: disregolazione emotiva, comportamenti autolesivi o suicidari, alti livelli di vergogna, aumento di comportamenti di dipendenza affettiva, rifiuto a fare pratica tra una seduta e l'altra, conflittualità nelle relazioni. Le strategie di intervento possono essere molte, ma su tutte il focus su cui ci invita la Schwarz è di nuovo duplice, elaborare la tensione creata dall'Ostacolo procedendo simultaneamente su due fronti: da un lato smantellare cognitivamente le credenze disfunzionali che mantengono gli ostacoli attivi e dall'altro aiutare l'Adulto del presente ad elaborare fisiologicamente e somaticamente la paura che sta sotto l'ostacolo e che si apre via via che l'ostacolo viene smantellato. La Paura è sempre l'emozione primaria che si trova sotto l'Ostacolo. Quindi di nuovo l'Ostacolo non è solo una difesa o solo una fobia o solo una Parte emotiva o solo una Parte perpetratrice, ma è l'insieme delle polarità che lo hanno strutturato e le contiene tutte. In questa chiave l'Ostacolo diventa l'insieme di più tensioni che vanno osservate nella loro interezza, nel loro presentarsi insieme nel momento presente.
Le risorse, la sicurezza.
L'elaborazione delle memorie traumatiche non significa raggiungere, provare o stimolare reazioni emotive intense. Spesso nel lavoro sul trauma possono avvenire forti abreazioni o svilupparsi emozioni molto intense, che non sempre sono tuttavia il segnale di una buona o completa elaborazione emotiva. Il lavoro di elaborazione con le Radici del dolore, e cioè con gli eventi traumatici generatori delle emozioni di terrore e impotenza, implica un contatto pieno e diretto con il dolore così come è stato all'origine, ma a partire da una solida centratura nel presente e nelle risorse del presente. Lo scopo della elaborazioni non è rivivere il dolore, ma sentire oggi di poterlo attraversare nella sua interezza e con ogni dettaglio presente nella memoria (sensoriale, somatico, emotivo, cognitivo), senza omissioni ma senza esserne sopraffatti. In questa chiave la “paura senza sbocco” è considerata dalla Schwarz una credenza disfunzionale del paziente, emotivamente connessa al terrore del passato, ma è molto importante come terapeuti del trauma ricordare e sapere che nel presente dell'Adulto e nel presente della seduta terapeutica lo sbocco c'è ed è nel processo di elaborazione di quella tensione e di quel dolore, elaborazione che permette al cervello di ritrovare la sicurezza prima fisiologica e poi emotiva per tenere insieme e intera la coscienza di sé e della propria storia. Un dettaglio scontato forse, ma non sempre così facile da tenere vivo e presente nella stanza della terapia.
Spesso nei terapeuti del trauma c'è l'urgenza di lavorare sulle Radici del dolore senza sufficiente cura nel creare le Risorse nel presente o al contrario c'è una tendenza ad evitare il dolore alla Radice, perché si è condizionati dal desiderio di proteggere o dalla convinzione che non ci sia davvero soluzione per sopportarlo e superarlo. Entrambe le posizioni possono diventare Ostacoli alla guarigione. Essere troppo accudenti o compassionevoli, può allontanare dal processo di guarigione, esserlo troppo poco rischia di far sentire il paziente inadeguato o spaventato di fronte alle richieste della terapia: esserlo fino in fondo per la Schwarz vuol dire stare accanto al dolore con determinazione, ma con una mappa chiara di lavoro, con una cognizione precisa di quello che succede momento per momento e disposti a fare scelte coraggiose di fronte alle emozioni più intense e disturbanti.
Il modello di terapeuta proposto dalla Schwarz è un modello di terapeuta che tiene saldamente in mano la rotta e la visione complessiva del processo terapeutico e che è in grado di co-regolare la finestra emotiva del paziente, con compassione e fermezza. Non attraverso lo sviluppo di un attaccamento sicuro verso di sé come esperienza riparativa, processo che la Schwarz considera pericoloso e inefficace soprattutto con pazienti molto disorganizzati, ma al contrario aiutando il paziente a sviluppare nel suo sistema emotivo il giusto grado di commitment e responsabilità nel cercare la sicurezza e le risorse all'interno e non fuori.
Costruire le Risorse è dunque, di nuovo, un lavoro sincrono su due Radici: quella dell'attaccamento/accudimento che permette di creare condizioni di sufficiente sicurezza nel presente della terapia e quella dell'esplorazione che stimola curiosità e una realistica speranza di poter stare meglio, guidando il paziente a trovare risorse e strategie più efficaci per navigare e regolare le sue emozioni.
In questa ottica l'aspetto cruciale non è solo creare le Risorse, ma soprattutto creare l'Accesso alle Risorse nell'esatto momento del bisogno, aspetto banale ma non sempre adeguatamente considerato e valutato. Spesso i pazienti mostrano un alto funzionamento e buone risorse per gestire la vita quotidiana, anche in presenza di gravi sintomi dissociativi. Tuttavia negli episodi di disregolazione, amnesia o dissociazione quello che succede è che nessuna risorsa compare nel sistema, quello che è accessibile nella vita quotidiana risulta non presente o completamente irraggiungibile o inefficace nel regolare il dolore che affiora. Questo rischia di riproporre durante il lavoro terapeutico i sentimenti di impotenza verso le emozioni del passato e di “rinnovare” il dolore, anziché attraversarlo per superarlo. Come mettere le Risorse al servizio del sistema emotivo e dell'elaborazione del dolore?
Il Double Dutch.
Letteralmente il “Doppio Olandese” è un gioco derivato dal salto alla corda, in cui si impiegano due corde che vengono girate in due direzioni opposte. La persona o il gruppo di persone che saltano all'interno di queste corde spesso alternano mosse ginniche o di break dance per riuscire ad “entrare” nella finestra temporale giusta che permetta il salto all'interno dello spazio che il movimento armonico delle due corde crea di volta in volta.
La metafora proposta dalla Schwarz rende la complessità e insieme l'equilibrismo spesso necessari nel lavoro di elaborazione delle memorie traumatiche, ma allo stesso tempo permette di realizzare immediatamente che per la riuscita completa di un buon processo di integrazione è necessario considerare più aspetti nello stesso momento, e tutti importanti.
L'immagine del Double Dutch esprime al meglio questa sincronicità: il graduale avvicinamento alla “corda” del Trauma, che è la parte più difficile da elaborare, deve essere garantito dalla presenza sincrona della “corda” delle Risorse. Non solo prima o dopo quindi, ma durante tutto il lavoro.
Anche qui torna il filo conduttore del workshop e del modello della Schwarz: il lavoro terapeutico non è solo sequenziale nell'affrontare diversi aspetti del trauma o diversi eventi avversi, ma è sempre anche un lavoro che muove contemporaneamente su più strati e ogni clinico deve essere allenato a leggere e interpretare tutti i livelli di attivazione coinvolti in ogni singolo momento del lavoro terapeutico. Il piano neurochimico e fisiologico delle risposte di Difesa primitive, incrocia il sistema di attaccamento e i livelli superiori di regolazione emotiva ed elaborazione cognitiva. Solo quando è possibile sincronizzare perfettamente tutti i circuiti coinvolti in una memoria, si crea la finestra temporale perfetta per “saltare” nei ricordi e processarli in sicurezza, seguendo un processo organico di integrazione di quell'evento nella storia dell'individuo, sul piano fisiologico, somatico, emotivo e infine cognitivo, tale da modificarne l'impatto nel presente.
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Molti modelli e tecniche terapeutiche di lavoro sul trauma e sulle memorie traumatiche, stanno registrando oggi la complessità di questo lavoro e la necessità sempre più chiara a tutti i clinici e psicotraumatologi che quando si lavora con il trauma complesso e con la dissociazione il lavoro diventa meno lineare: il processo di elaborazione deve in questi casi necessariamente intrecciarsi alla continua e costante ricerca di ancoraggio al presente, in modo più attento e accurato rispetto a quando si lavora con persone che hanno vissuto un trauma singolo, che non presentano una struttura dissociativa e che riescono ad accedere in modo più diretto alle risorse interne.
In modo trasversale a tanti diversi approcci terapeutici che lavorano sul trauma (EMDR, CBT Trauma-Focused, Terapia Sensomotoria), solo per citarne alcuni, appare sempre più chiaro che la Stabilizzazione nei casi complessi con sintomi dissociativi non sia da considerarsi solo una fase preparatoria e al servizio della successiva fase di Elaborazione, come nell'originaria formulazione del Modello Trifasico (Pierre Janet), ma debba essere considerata essa stessa un processo trasformativo: che permette cioè a chi non ha potuto vivere e consolidare nell'infanzia alcuna esperienza di protezione nel proprio sistema interno, di creare nel presente e mantenere uno stato di sicurezza neurobiologico e neurochimico a livello cerebrale e corporeo, anche quando non c'è una sufficiente sicurezza emotiva.
Solo questo solido accesso alle Risorse può garantire il corretto processamento della memoria, restando pienamente connessi al passato, pienamente connessi al presente e finalmente in grado di integrare e ampliare la coscienza in entrambe le direzioni, senza lasciare indietro niente e potendo finalmente esplorare ogni angolo della mente senza paura.