Too much of Nothing:
le ferite della trascuratezza e i diritti di ogni bambino
di Camilla Marzocchi
da “Working with the Developmental Trauma of Childhood Neglect”
di Ruth Cohn (Routledge, 2022)
20 nov – La Giornata mondiale dell’Infanzia è stata istituita per la prima volta nel 1954 come Giornata universale del bambino e viene celebrata il 20 novembre di ogni anno per promuovere la solidarietà internazionale, la sensibilizzazione dei bambini in tutto il mondo e il miglioramento del loro benessere.
Il 20 novembre è una data importante anche perché nel 1959 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la Dichiarazione dei Diritti del Bambino. Trent’anni più tardi, nel 1989, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la Convenzione sui diritti del fanciullo.
Come Associazione AISTED siamo profondamente connessi a questa giornata, che esprime un obiettivo centrale per tutti noi che lavoriamo sugli effetti del trauma e della dissociazione sulla popolazione: l'importanza di occuparci della radice della vita umana, l'infanzia, come fattore preventivo e predittivo per lo sviluppo emotivo di ogni adulto che abiterà il mondo e di ogni paziente che busserà alla nostra porta.
I segni della traumatizzazione cronica, della trascuratezza e della violenza infantile hanno un'onda lunga nella nostra società, ne abbiamo prove neuroscientifiche inconfutabili da decenni e siamo (dovremmo) essere più preparati a coglierne i segni a tutti i livelli dello sviluppo: nei bambini, negli adulti, nelle nostre comunità di appartenenza.
Il ciclo della violenza tende a ripetersi tra le generazioni e si nutre di molte variabili, di cui la più importante è la cecità nel coglierne le condizioni che la favoriscono e la alimentano.
Dall'esperienza clinica è spesso molto evidente, ma non sempre facile da cogliere: non c'è abuso e violenza senza una profonda trascuratezza che ne crei le condizioni. Non c'è evento avverso o trauma che non nasca dall'aver ricevuto poca o nulla attenzione, cura, supporto. La trascuratezza emotiva crea dunque la condizione di rischio più determinante, non solo perché le violenze e gli abusi avvengano, ma soprattutto perché continuino ad essere reiterati senza alcun monitoraggio, causando una traumatizzazione cronica estremamente più difficile da riparare e curare nell'adulto.
Ogni bambino sarebbe più al sicuro, tra adulti capaci di riconoscerne i segnali di stress, dolore, paura. Ogni adulto della sua vita è importante per cambiare la traiettoria del suo sviluppo: genitori, familiari, sanitari, insegnanti, educatori, vicini di casa, i servizi, la comunità tutta.
Un proverbio africano recita: “per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio“.
A questo proposito, il libro di Ruth Cohn offre una lettura sensibile e profonda, utile a cogliere questi segnali di trascuratezza, spesso nascosti per effetto stesso della trascuratezza ricevuta: l'abitudine ad essere invisibili.
Ogni bambino trascurato (e l'adulto che sarà) non saprà leggere in modo efficace le proprie emozioni, i propri bisogni e i propri desideri, ma soprattutto non saprà riconoscere e difendere in modo chiaro e inequivocabile i propri diritti nel mondo, i diritti di nascita e dunque il suo stesso valore come essere umano.
La prima regola del mondo
L'esperienza primaria di attaccamento in questi bambini è spesso il fallimento del rispecchiamento emotivo (mirroring), sin dai primissimi momenti di vita.
Un sguardo amorevole, sintonizzato e capace di rispondere in modo flessibile, costante ed efficiente ai bisogni fisici, emotivi e di sopravvivenza. Il contatto oculare è perciò la prima fonte di “salvezza” che abbiamo, la prima condizione che ci garantisce la vita, dunque l'assenza di questo sguardo crea un istantaneo e precoce stato di allarme che non possiamo in nessun modo affrontare. Ecco la primissima esperienza emotiva, fisiologica, interna di “non meritare attenzioni”, in una fase in cui ne avremmo pienissimo e totale diritto per sentirci vivi.Tali esperienze, quando non vengono mai riparate, creano un'immediata risposta fisiologica: il rifiuto è la prima regola del mondo e diventa parte integrante del funzionamento di base di quell'individuo, quello cioè che si aspetterà da ogni futura esperienza di relazione.
Segnali e marcatori cui prestare attenzione
La fiducia in se stessi non è in questi casi una scelta, ma l'unica opzione, un meccanismo di sopravvivenza contro la disperazione della solitudine e diventa per questo un motivo di orgoglio per se stessi. Ecco il primo segnale di trascuratezza: bambini eccessivamente capaci di badare a loro stessi, particolarmente fieri di gestire autonomomente bisogni primari della loro vita, spiccatamente capaci di cogliere i bisogni degli adulti intorno a loro e di occuparsene attivamente, ogni giorno. La fatica soverchiante di fare questo, viene compensata da sentimenti estremi di orgoglio nell'adulto del futuro, che sarà incline all'autosufficienza “feroce”, a disconoscere i propri bisogni interpersonali e che faticherà a chiedere aiuto se non in casi estremi di malessere. Un genitore in difficoltà e sopraffatto, come farà a chiedere aiuto se è stato a sua volta trascurato? Un bambino iper-responsabile genererà abbastanza preoccupazione e allarme?
Per un bambino ed un adulto tenacemente autonomi e indipendenti, il dovere sarà un elemento centrale, mentre potrebbe essere difficile per esempio rispondere a domande dirette sulle proprie emozioni, preferenze, bisogni, desideri. Per qualcuno addirittura spiacevole o soverchiante: è possibile però riconoscere nei “tempi lenti” di risposta e nel “ritmo interrotto” di un dialogo intimo e personale, un secondo segnale di trascuratezza nell'infanzia. A partire dall'idea del fallimento primario del rispecchiamento emotivo, c'è una ragione fisiologica che ci spiega questo: l'interruzione della comunicazione tra cervello-destro del caregiver e cervello-destro del bambino rende questi bambini sotto-stimolati nell'emisfero destro che più dovrebbe invece permettere di accedere all'esperienza emotiva e soggettiva (Schore, 2016). Il risultato esterno e visibile, nel bambino e nell'adulto, è una maggiore lentezza, indecisione, titubanza e talora blocco nel rispondere alle domande personali, poiché accedere a questo flusso di informazioni su di sé è stato poco sviluppato, o inutile o addirittura rischioso. E' molto facile che questo venga etichettato come timidezza, chiusura, disinteresse, se non c'è la curiosità di approfondire questo segnale, dando lo spazio e i tempi “giusti” per esprimersi resterà solo l'etichetta, privata della sua storia.
Direttamente collegato a questo tratto, la totale assenza - nel bambino e poi nell'adulto - di un vocabolario emotivo di base (alessitimia) è un terzo segnale che ci deve incuriosire. Spesso questa difficoltà estrema viene nascosta da una risposta stereotipata, rapida e automatica ad ogni domanda che riguardi il proprio mondo interno: “Non lo so!”. Essere soli con le proprie emozioni, soprattutto se soverchianti come la paura e il terrore, comporta lo sviluppo di un meccanismo di distacco cronico da esse e genera l'impossibilità di verbalizzarle. Come potrebbe verbalizzare di essere spaventato o in pericolo, un bambino che non conosce le parole per esprimerlo?
Spesso la forma del neglect assume invece forme positive, ma altrettanto importanti da cogliere in un bambino o in un adulto che ci chiede aiuto: una storia della propria infanzia completamente idilliaca, perfetta, priva di qualunque sfumatura negativa, costellata esclusivamente di ricordi felici, di serenità e amore (quarto segnale). Soprattutto se questa narrazione viene accompagnata - nel bambino come nell'adulto - da difficoltà manifeste nel dare fiducia agli altri o nel chiedere aiuto, elevata auto-critica, difficoltà nel prendersi cura di sé, dovrebbe incuriosirci anziché affascinarci. Il contatto con l'idealizzazione può essere contagioso, ma di fronte ad una richiesta di aiuto è importante coltivare il dubbio: come mai l'esperienza di così tante risorse positive, non ha portato a sviluppare un'adeguata sicurezza e piena fiducia nel mondo e negli altri?
E infine, quando fallisce cronicamente l'esperienza di ricevere aiuto e supporto, di essere guidati e protetti, di essere accompagnati e non soli nelle sfide della vita, il bambino e poi l'adulto non penseranno più che avere bisogni interpersonali sia naturale e inevitabile per la nostra specie. Al contrario “So tutto quello che mi serve sapere”, sempre e in ogni circostanza, diventa allora un quinto segnale importante da cogliere: l'acuta capacità di analisi sviluppata in assenza di qualunque tipo di supporto e guida, diventa una zattera per non andare alla deriva e porta spesso a costruire un complesso e personale sistema di valori, manchevole però di informazioni adattive di base e di un efficace confronto con la realtà esterna. Chi avrebbe voglia di dialogare con un bambino o con un adulto che sa sempre tutto e che ha sempre la risposta pronta per ogni cosa? Di nuovo è importante osservare questi segnali ed esserne curiosi, senza giudizio e con sguardo attento.
Spesso approfondire con compassione, empatia o aperta curiosità questi segnali potrebbe aiutare a intercettare quello che si nasconde appena dietro la loro forma esterna: un mondo di solitudine e una profonda mancanza di senso verso le più semplici esperienze della vita, in cui nonostante le difese attivate per sopravvivere, i pensieri e i dubbi su di sé prendono piede ogni giorno. “Chi sono?”, “Vado bene?”, “Sto facendo abbastanza?”: la primissima sensazione di rifiuto, continua a fare eco nell'adulto, così come i dubbi costanti sulla proprio diritto di essere nel mondo e di esserci con dei bisogni e delle domande fondamentali cui gli altri ci devono aiutare a rispondere (sesto segnale). Molto importante cogliere in questa ruminazione ricorsiva dell'adulto, l'isolamento del bambino che è stato.
L'invito di Ruth Cohn è di leggere tra le righe, con sensibilità e coraggio, restando focalizzati nell'esperienza presente e incarnata dei racconti, oltre le parole, ponendo al centro e umilmente le nostre impressioni, esperienze di vita e storie personali per sintonizzarci con questi segnali che altrimenti resteranno inascoltati, perché sono semplicemente nati a questo scopo: garantirsi la protezione dell'invisibilità.
Note bibliografiche:
Cohn Ruth, Working with the Developmental Trauma of Childhood Neglect. Using Psychotherapy and Attacchment Theory Techniques in Clinical Practice. Routledge, 2022.
Schore Allan, Affect Regulation and the Origin of the Self: the Neurobiology of Emotional Development. New York, Routledge, 2016.