Pat-factor e 25 Novembre: una riflessione sul nostro sguardo di terapeuti/e

Pat-factor e 25 Novembre:

una riflessione sul nostro sguardo di terapeuti/e

 

di Chiara Bellardi e Annalisa Di Luca

 

Eccoci di nuovo al 25 novembre, Giornata Internazionale per il contrasto alla Violenza sulle Donne.

Le donne rappresentano circa la metà della popolazione globale, ed è difficile quindi pensare si tratti di una minoranza da proteggere. Eppure il fenomeno della violenza alle donne appare molto significativo in tutte le parti del mondo e nel nostro paese anche in questo 2022 ha segnato irrimediabilmente una crescita del fenomeno.

Per contrastarlo da tempo appare necessario dare risposte articolate che affrontino la questione secondo un approccio integrato, capace di mettere in campo strategie e interventi di diversa natura.

Interventi di vario tipo, non limitati alla cura della vittima o all’inasprimento delle pene a carico dell’autore della violenza. La repressione è necessaria, ma da sola non basta. Oltretutto, la punizione – indubbiamente indispensabile, anche per l’effetto deterrente che può esercitare quando è dotata di efficacia e di effettività – in ogni caso interviene dopo che la violenza ha avuto luogo e deve essere affiancata da altre misure che abbiano la capacità di prevenire la violenza o comunque di snidarla prima che si manifesti in tutta la sua brutalità.

Realizzare interventi culturali e formativi vuol dire acquisire una maggiore sensibilità, una capacità di lettura e riconoscimento del problema, divulgare la cultura di genere, per combattere gli stereotipi, per educare i giovani al concetto di parità e pari opportunità.

E come operatori della salute mentale possiamo fare qualcosa? Ci sentiamo sempre capaci di riconoscere la violenza anche quando è un fenomeno intimo nell’individuo e nella coppia?

A questo proposito abbiamo pensato di intervistare una collega e socia AISTED, Chiara Bellardi, psicoterapeuta e psicotraumatologa, perché possa raccontarci la sua esperienza di donna e professionista pat-informed, ovvero, teoricamente consapevole dell’impatto della cultura patriarcale.

L’abbiamo intervistata per parlarci della fatica a riconoscere alcune insidie culturali generatrici di ritardi nell’acquisizione di prospettive più equilibrate, insidie che sono espressione evidente delle resistenze e della difficoltà di evoluzione nel nostro Paese. Un immaginario patriarcale che può rappresentare ancora oggi la radice delle asimmetrie tra i sessi e, di conseguenza, della violenza di genere.

Quell’immaginario patriarcale non è più presente nelle leggi, nei codici e nella giurisprudenza, ma ha lasciato segni profondi ed evidentemente continua a sopravvivere nei comportamenti di molti uomini e in modo insidioso e inconsapevole anche delle donne.

 

Ecco l’intervista

So che partecipi a questo gruppo di ricerca/ confronto: in cosa consiste?

Nell’autunno del 2021, in seguito al convegno SITCC intitolato Le sfide del Cognitivismo nel Terzo Millennio, assieme ad altre colleghe che hanno portato contributi riconducibili al patriarcato o che sono impegnate a vario titolo sul tema, abbiamo iniziato a trovarci regolarmente ed informalmente per riflettere sullo stato dell’arte in termini di consapevolezza del fenomeno del patriarcato in ambito psicologico e psicoterapeutico. Il nome del gruppo Genera17, emblematizzato dal numero 17, oggetto di stigma per antonomasia, indica l’approccio generativo e di apertura dello stesso, volto ad ampliare le prospettive ed andare oltre la parzialità dei pre-giudizi in senso lato.

 

Perché parlare di "patriarcato" può essere importante per un terapeuta o operatore sanitario?

Siegel e Payne Bryson nel loro libro 12 Strategie per favorire lo sviluppo mentale del tuo bambino ci parlano dell’importanza del “nominare per dominare” al fine di promuovere il cambiamento degli stati mentali. Veniamo da duemila anni di narrazioni gender-based e iniziare ad approfondire la questione potrebbe essere di aiuto per avere una visione più oggettiva della situazione. Basta pensare anche solo ai numeri. Le donne sono metà parte del mondo. Spesso le psicoterapeute sono donne, spesso gli autori in letteratura psicologica sono uomini e di sovente si parla “delle pazienti”. Parlare di minoranza artificiosa, come viene tecnicamente definita quella delle donne, o di impatto del patriarcato per le professionalità sanitarie può essere utile per ampliare le griglie ermeneutiche, ovvero le lenti di lettura, con le quali ci approcciamo alla nostra professione e alle persone che abbiamo di fronte nella nostra quotidianità lavorativa e non solo.

 

Le persone vittime di violenza vivono spesso con vergogna e senso di colpa i fatti accaduti, e queste emozioni sembra attingano forza e “ragione” dal vissuto di esclusione versus appartenenza alla collettività. Nella tua esperienza che impatto hanno i Pat-factor su una persona traumatizzata e perché può entrarci con gli aspetti post-traumatici e con la dissociazione?

Io non ho risposte definitive, ma posso condividere il fatto che nell’attività clinica sono sempre stata aiutata dalla possibilità di poter attingere a una formulazione del caso che restituisca alla persona un’immagine del proprio funzionamento il più possibile integrata, nella quale potersi riconoscere sia in termini di limiti che di risorse. Per esempio, ho fatto questa esperienza di arricchimento del mio bagaglio di formulazioni del caso, utilizzando il costrutto del Disturbo da Stress Post traumatico Complesso, che permette di cogliere non solo negli eventi traumatici ma in uno sviluppo traumatico nell'infanzia le radici della sofferenza della persona nel presente. Per questo motivo mi domando come sarebbe se avessimo a disposizione anche formulazioni che tengano conto di come duemila anni di narrazioni gender-based possano avere avuto un impatto sia nel modo di descrivere la psicopatologia che nel modo di proporre interventi. I filosofi della scienza ci hanno insegnato che la scienza procede per falsificazioni di ipotesi e cambi di paradigma. Quindi mi domando perché non si possa tentare di approfondire la questione anche in sede di salute mentale, così come in parte si è fatto (vedasi, tra gli altri, il lavoro della psicologa statunitense Carol Gilligan, autrice del libro Con voce di donna) o come si sta tentando di fare da tempo in altre discipline quali la linguistica (Alma Sabatini), la filosofia del diritto (Joan Tronto) e la revisione della storia dell’uomo primitivo. Per tornare alla domanda, penso che ogni professionista opportunamente formata/o sia in grado di riconoscere franche esperienze traumatiche (es. violenza domestica), ma non so quanto si sia in grado oggi di riconoscere i fattori di mantenimento della eventuale traumatizzazione, che spesso impediscono il cambiamento e l’utilizzo di strategie più funzionali di comportamento.

 

In occasione della giornata contro la violenza sulle donne, perché ritieni significativo parlare di questo e cosa ritieni importante che rimanga in noi professionisti e non solo?

Venendo oggettivamente da almeno duemila anni di narrazioni gender-based, penso sarebbe utile andare oltre il derubricare certe situazioni in termini di bias culturali. Penso potrebbe essere proficuo iniziare a rileggere i casi attraverso le lenti del patriarcato e notare se esistono co-occorrenze in termini di schemi, credenze, reazioni automatiche di difesa, difficoltà nell’esprimere le emozioni, difficoltà nel gestire specifiche espressioni emotive piuttosto che altre, comportamenti passivi o aggressivi, somatizzazioni, silenzi, mutismi selettivi.

In primis penso sarebbe molto utile interrogarci rispetto agli schemi, agli archetipi, alle aspettative che abbiamo noi professioniste e professionisti della salute mentale, innanzi tutto in termini linguistici e di considerazione del lavoro di cura, spesso appannaggio del cosiddetto “secondo sesso”, per citare l’autrice femminista Simone de Beauvoir. Per esempio, ritengo sia utile pensare alla discrepanza che spesso si incontra nelle professioniste e nei professionisti tra l’essere al corrente del potere del logos, del potere performativo delle parole, del politically-correct e le reazioni infastidite rispetto alle desinenze in -a, agli asterischi e alle shva, ovvero la desinenza inclusiva (ə) che ancora non si trova in tutti i programmi di videoscrittura. Da dove arriva tutto questo fastidio? Quando ci troviamo di fronte a casi di soggetti in età evolutiva con problematiche, o alle cosiddette famiglie problematiche, penso sia altresì importante interrogarci sull’impatto del lavoro di cura all’interno del nucleo familiare sia esso coerente o incoerente con lo stereotipo e alle possibili conseguenze. In estrema sintesi, penso sia molto importante interrogarci sul nostro livello di patriarcato interiore, o meglio interiorizzato in modo implicito attraverso l'esperienza cognitiva-emotiva-e-somatica, soprattutto se siamo donne, perché da sempre questo costituisce, a mio avviso, la forma di patriarcato più insidiosa.

Visti i millenni di narrazioni di un certo tipo e i secoli di talking-cure, penso sia altresì importante esplorare sempre di più tutti gli interventi svincolati dalla parola e più legati al corpo che potrebbe costituire un grande alleato sia in termini di descrizione del malessere che di possibile intervento.

In conclusione, penso che fare una revisione della nostra situazione di “gettattezza”, ovvero, il trovarsi a nascere in un determinato corpo e in una determinata cultura potrebbe aiutarci a con-siderare i fenomeni ( e la violenza in primis) da una prospettiva più ampia. Ritengo che tentare di enucleare e nominare i Pat-factor potrebbe arricchire la nostra cassetta degli attrezzi, aiutando ad esplicitare certi fenomeni ed eventualmente a diminuire il numero delle Cadute del 25 Novembre.

 

Bibliografia:

 

  • AA.VV., (2017), Il sessismo nella lingua italiana. Trent’anni dopo Alma Sabatini, Blonk Editore.

  • Demurtas P., Misiti M., (2021), La violenza contro le donne in Italia, Guerini scientifica.

  • Gilligan C., (1991), Con voce di donna, Feltrinelli.

  • Sabatini A., Il sessismo nella lingua italiana. Istituto poligrafico e zecca dello stato, Roma, 1987.

  • Siegel D., Payne Bryson T., (2012), 12 Strategie rivoluzionarie per lo sviluppo mentale del bambino, Raffaello Cortina Editore.

  • Pathou-Mathis M, (2021), La preistoria è donna. Una storia dell’invisibilità delle donne. Giunti editore.

  • Romito P., (2011), La violenza di genere su donne e minori, Franco Angeli.

  • Sassaroli et al., (2015), Autonomy and Submissiveness as cognitive and cultural factors influencing eating disorders in Italy and Sweden. Europe’s Journal of Psychology.

  • Tronto J., (2006) Confini morali, Diabasis.

  • Volpato C., (2019), Le radici psicologiche della disuguaglianza, Laterza.


 

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