Il trauma nelle aule giudiziarie: una fotografia dello stato dell'arte in Italia

di Monica Romei Psicoterapeuta, Consigliera AISTED, 

e Alessia Tomba Psicoterapeuta, Socia Fondatrice AISTED

Referenti Gruppo Forense AISTED

 

Il Gruppo Forense dei soci AISTED è impegnato su più fronti in una realtà variegata e complessa come quella degli intrecci tra ambito clinico e competenze dell’Autorità Giudiziaria.

Tra i soci, emergono le seguenti esperienze in ognuna delle quali sembra necessario sviluppare una cultura specialistica del trauma e della dissociazione per sostenere i professionisti coinvolti a considerare gli esiti post-traumatici sul funzionamento delle persone coinvolte nei procedimenti giudiziari a vari livelli:

1. utenti adulti di Servizi Sanitari di Psichiatria, con comportamenti antisociali, criminali o di dipendenza patologica come esito di sviluppi traumatici complessi e di funzionamenti dissociativi. La Psichiatria Forense sembra ignorare totalmente l’etiopatogenesi di natura post-traumatica di questa popolazione di pazienti, con gravi conseguenze sul progetto di cura e di recupero di queste persone…

2. adulti che hanno commesso un reato e vengono inviati per la valutazione della capacità di intendere e volere e/o adulti che scontano una pena in regime di detenzione in carcere, ritenuti altamente pericolosi sul piano sociale e che vengono inviati ad un percorso di valutazione, osservazione e trattamento.

3. minori figli di genitori separati che sono oggetto di valutazione da parte dei CTU del Tribunale Ordinario, sezione Civile per determinare il regime di affido.

4. minori figli di genitori vulnerabili/maltrattanti/abusanti che sono oggetto di tutela con interventi del Tribunale per i Minorenni e collocati fuori famiglia in strutture residenziali.

5. minori vittime di sospetto abuso sessuale così come donne vittime di violenza di genere, coinvolti in procedimenti presso il Tribunale Penale. Esistono più documenti (dichiarazione di consenso CISMAI, Carta di Noto V, ecc.), spesso in grande dissenso tra loro su aspetti nodali, redatti da specialisti di diversa provenienza e formazione che sanciscono norme e procedure da attuare nell’ ascolto delle “vittime” soprattutto nella fase processuale. Il disaccordo tra gruppi di lavoro comunque riconosciuti e specializzati crea grande confusione e lascia spazio a libere interpretazioni delle indicazioni date, in assenza di dispositivi di legge chiari e riconosciuti. Accade inoltre che tali “indicazioni”, vengono a mancare nella gestione della vittima durante la fase istruttoria o di raccolta delle informazioni, così che le forze dell’ordine deputate ad affrontate compiti così delicati e fondamentali, si attivano e si attrezzano individuando al loro interno risorse e strategie che talvolta vengono richieste e indicate dal pubblico ministero. Anche questi ultimi professionisti, per quanto sensibili e seriamente preparati sulla materia da un punto di vista giuridico, spesso non hanno sufficiente formazione sul funzionamento di una vittima di esperienza traumatica, per coordinare al meglio la raccolta delle informazioni durante la fase delle indagini preliminari.

Il mondo giuridico ha necessità di essere sostenuto nell’individuare strategie adeguate sul piano giuridico ma attente e rispettose delle fragilità e dell’eventuale funzionamento post traumatico nella vittima. Quest’ultimo viene talvolta citato (senza che chi lo fa ne sia per altro a conoscenza) solo in relazione ai comportamenti, tenuti dalla vittima nel corso delle audizioni, che vengono additati come segnali di non attendibilità del teste.

Accade così che, nonostante le dichiarazioni di intenti e di consensi, ancora oggi si osserva che i bambini e le donne sono considerati ‘oggetto di prova’ più che vittime bisognose di cura, per cui, sul piano clinico, si verifica una precoce esposizione al contesto giudiziario che governa il processo con ascolti talvolta ripetuti in più contesti e conseguente vittimizzazione istituzionale, mentre la presa in carico clinica viene ritardata, se non addirittura è totalmente assente.

6. bambini adottati da coppie che non hanno affrontato né prima del Decreto di idoneità all’adozione né dopo l’inserimento pre-adottivo la propria storia traumatica ove presente (come spesso si riscontra) soprattutto ma non solo rispetto all’infertilità e fanno difficoltà a gestire e riconoscere il trauma evolutivo nel figlio.

7. non ultimi, gli operatori dei contesti clinico forensi (dai medici agli psicologi ai Magistrati, Giudici, Avvocati) spesso vivono condizioni di traumatizzazione vicaria e sono portatori di vissuti di controtrasfert traumatico, poco riconoscibile e negato, con pesanti ripercussioni sulla salute psico-fisica e sulla qualità del lavoro professionale, con effetto domino sugli utenti.

-- -- --

Negli ultimi incontri, l’attenzione dei soci si è focalizzata su un tema specifico, grazie all’invito offerto dal socio Massimo Portas a Cagliari che si è fatto promotore di un importante incontro interprofessionale presso l’Ordine degli Psicologi della Sardegna, lo scorso 17 ottobre 2019.

Emerge una situazione degna di nota: la Corte Europea dei Diritti Umani con alcune sentenze ammonisce l’Italia di non aver fatto abbastanza per rispettare il diritto alla genitorialità e per aiutare a recuperare la famiglia d’origine. Tali sentenze sono state lette dai magistrati come l’inesigibilità del diritto del bambino di stare nella propria famiglia d’origine. Tuttavia, tale principio assolutamente condivisibile, non sembra rispondere alle situazioni di grave pregiudizio sui bambini da parte di genitori maltrattanti e violenti, abusanti.

Questa tendenza si esprime in una riduzione delle sentenze di adottabilità definita e netta, in favore di sentenze di affidi sine die, incrementando l’indefinitezza dei confini di tutela e la messa in discussione delle procedure in Corte di Appello che aumentano progressivamente la lunghezza della progettualità di vita dei bambini fuori famiglia. Altra conseguenza riguarda il mantenimento degli incontri protetti, che vengono interrotti solo se considerati pregiudizievoli mentre sono mantenuti quando disfunzionali. Proprio su questo punto, sembra necessaria una definizione di cosa è pregiudizievole e cosa disfunzionale, nel dispositivo degli incontri protetti che possono, invece, trasformarsi in circostanze di ri-vittimizzazione del bambino.

La prima riflessione è che alla CEDU sono arrivati ricorsi da parte degli avvocati dei genitori mentre la posizione dei minorenni non vengono rappresentate parimenti dai loro difensori-curatori.

Gli esperti del settore conoscono quanto sia doloroso e vulnerabile il mantenimento dei legami in assenza di una definizione chiara del progetto di vita che restituisca al bambino il diritto di crescere in una famiglia tutelante e accudente. Spesso la valutazione della qualità degli incontri protetti e del mantenimento del legame viene demandato a servizi poco strutturati e non specializzati che non riescono a rappresentare la necessità di tutela dei minorenni al TM che non dispone nessun cambiamento.

Si cita l’esperienza di TORINO che ha promosso un tavolo di concertazione tra magistratura e consulenti tecnici.

Nel mondo dell’Autorità Giudiziaria bisognerebbe porsi come quesito:

QUALE DIRITTO DOBBIAMO TUTELARE?

STIAMO TUTELANDO I DIRITTI DI TUTTE LE PARTI IN CAUSA?

Si verificano, dunque, condizioni che non favoriscono progetti riparativi per i minorenni fuori famiglia (careleavers):

  • Calo delle domande adottive;
  • Bambini grandi danneggiati e con gravi esperienze sfavorevoli e traumatiche alle spalle che ne condizioneranno l’avvenire, se non inseriti in un percorso di cura adeguato;
  • Aumento delle tempistiche con cronicizzazione dei collocamenti fuori famiglia;
  • Maggiore frequenza del mantenimento dei legami con le famiglie d’origine in assenza di un lavoro di cambiamento sulle genitorialità fragili o inadeguate.

Citando le LINEE GUIDA DEL CISMAI è necessario che i genitori riconoscono le loro responsabilità nel parenting pregiudizievole e sono accondiscendenti ad un lavoro di cura, elementi che spesso non sono riscontrate nei contenuti delle CTU che contengono l’ambivalenza dell’irrecuperabilità con mantenimento del legame.

Infatti, emerge che a fronte di una situazione così complessa, i Tribunale sono orientati a chiedere ai Consulenti Tecnici di rispondere in modo più chiaro a quesiti molto articolati con la conseguenza che si chiede ad un singolo professionista di assumere un ruolo da case manager, quando né per ruolo, né per possibilità né per competenze specifiche è possibile rispondere a tale mandato.

Al contrario, servirebbe un sistema integrato e servizi deputati a tale complessità, dove vi sia un’equipe specialistica e multi professionale che può farsi carico di tutto il nucleo sia nella fase di diagnosi che nella gestione del progetto di vita, per tutelare il diritto dei bambini ma anche per offrire una vera occasione di trasformazione ai genitori recuperabili.

Il lavoro futuro del Gruppo Forense sarà seguire quello di approfondire e offrire sostegno in tutte le situazioni sopra citate cercando e creando occasioni di confronto e informazione sul funzionamento post traumatico in tali contesti e, in particolare, anche in quest’ultima delicata realtà, cercando strade per sviluppare un dibattito serio e contrastare i possibili retroscena a discapito dei bambini per promuovere una presa in carico specialistica di tali situazioni.

 

Trauma Gruppo Forense AISTED