Essere terapeuti al tempo del Coronavirus: le riflessioni di Kathy Steele.

Di Camilla Marzocchi

Psicologa Psicoterapeuta, Consigliera AISTED

Traduzione dal Webinar di Kathy Steele del 18 Aprile 2020,

Presso IPA – Istituto Psicologia Applicata

Trovate qui Risorsa originale: “Embedded Suffering, Embodied Self:

The Therapist in th Age of Coronavirus”

 

L'esperienza traumatica espande e contrae i nostri cuori allo stesso tempo, questo è il grande paradosso e il mistero di tutte le situazioni traumatiche e di quello che stiamo noi tutti vivendo. Questa alternanza di contrazione ed espansione è allo stesso tempo quello che ci permetterà anche di essere resilienti e di crescere dopo la sofferenza.

Essere terapeuti in questa fase ha a che fare con l'essere imperfetti, incompleti e navigare dentro una situazione confusa; il nostro senso di sicurezza e di speranza, i nostri stili relazionali imperfetti, le nostre emozioni e credenze, le nostre strategie di coping, che siano positive o negative, sono sovrastimolate.

E anche noi come terapeuti abbiamo le nostre paure, le nostre ansie e le nostre preoccupazioni. Ognuno di noi, terapeuti e pazienti, ha le sue proprie strategie per affrontare la situazione attuale e stiamo tutti imparando come accettare e sopportare il nostro dolore e la nostra vulnerabilità in una situazione completamente nuova per tutti.

Ma dall'altro lato abbiamo anche un'occasione unica e fuori dal comune di poter vivere in parallelo con i nostri pazienti esattamente la stessa identica situazione. Come possiamo mantenere la nostra competenza terapeutica, nei momenti in cui noi stessi non sappiamo come affrontarla?

Questa situazione specifica cambia completamente lo scenario e il tipo di supporto reciproco che possiamo trovare. La maggior parte dei nostri pazienti con vissuti traumatici si è trovata a vivere in completa solitudine la propria esperienza traumatica del passato, ma in questo momento il nostro corpo è assalito dalle stesse reazioni fisiologiche dalle quali si sentono assaliti i nostri pazienti.

Quello che accade ora è che siamo noi stessi soggetti a momenti di disregolazione più intensi del solito. Quindi oggi è più importante di sempre prendersi cura di sé e regolare la propria emotività con una maggiore attenzione e cura.

Il costo della cura: Come facciamo a prenderci cura dei nostri pazienti se ci sentiamo noi stessi esausti, sopraffatti, senza speranza?

Uno dei rischi che corriamo quando siamo più vulnerabili come terapeuti è di rispondere eccessivamente o di minimizzare di fronte alle richieste e bisogni dei pazienti. Mi sono accorta che alcuni pazienti non stanno riuscendo a far fronte molto bene alla situazione e chiedono il mio supporto con più intensità del solito e questo avviene in un momento in cui anche per me è necessario avere del tempo in più per me stessa. Vi incoraggio dunque a parlare con i vostri colleghi del vostro specifico bisogno di confine in questi giorni, così da poter rispondere ai pazienti nel modo migliore, che tenga conto del vostro bisogno attuale di confini e di spazio per voi stessi.

Siamo disponibili ad accettare con umiltà di non essere al 100% presenti con in nostri pazienti? Di non avere le energie che di solito abbiamo per incontrarli?

Potremmo avere preoccupazioni e pensieri che riguardano le nostre stesse famiglie, potremmo essere in difficoltà con il telelavoro o essere più a nostro agio, ad esempio mi sembra esperienza comune che fare terapia a distanza sia per molti più faticoso che in presenza. MA dall'altro lato questo può essere un incredibile parallelismo per creare un'esperienza di attaccamento sicuro: in questa esperienza possiamo riconoscere e permetterci di condividere la nostra stessa vulnerabilità e preoccupazione, offrendo ai pazienti un modeling per contattare la loro stessa preoccupazione e il loro non essere al 100%; questa profonda e umana connessione è alla base dell'esperienza di un attaccamento sicuro. Potrebbe essere un'esperienza molto confortante e rassicurante, quella di sentire che ognuno di noi sta facendo il meglio che può pur non sentendosi al 100% delle proprie possibilità e di nuovo vorrei porre enfasi sull'importaza del self-care per ognuno di noi in questa fase.

Il paradosso del dolore: più sopprimiamo, evitiamo e neghiamo il dolore reale nel presente, più sofferenza sentiremo.

Molto importante questo concetto per i nostri pazienti, ma è importante ora più che mai dirlo anche a noi stessi. Molta della sofferenza emotiva che stiamo sentendo in questi giorni è dovuta a delle vere e proprie crisi esisteziali: quelle a cui stiamo facendo fronte adesso sono crisi esistenziali che ognuno di noi conosce abitualmente nel proprio lavoro quotidiano.

  • In cima alla lista abbiamo l'isolamento sociale e la solitudine. Come terapeuti dobbiamo enfatizzare in questi giorni la differenza tra il distanziamento sociale e la mancanza di connessione e relazione con gli altri, ma allo stesso tempo è importante riconoscere apertamente che vedere i nostri parenti o amici online non è la stessa cosa che vederli dal vivo. E dobbiamo inoltre riconoscere che per i pazienti più soli e con meno contatti sociali prima della pandemia, questo può essere catastrofico.

  • Non di meno, un'altra cosa con cui fare i conti e difficile da sopportare per noi come esseri umani è la morte: il sapere che molte persone molto malate che si trovano ora in ospedale, stanno morendo da sole e che questo potrebbe compire ognuno di noi e dei nostri familiari. Questo è intollerabile per la mente umana. C'è tanta sofferenza nelle persone ei n noi stessi e può diventare molto più difficile riuscire a fare ordine nella sofferenza altrui mentre siamo tuti esposti.

  • Un altro tema cruciale è la deprivazione di libertà: è necessario comprendere che questa limitazione sta proteggendo noi stessi e gli altri dalla malattia, ma è altrettanto necessario riconoscere che questa protezione sta lo stesso avendo un impatto negativo sulle nostro economie e sul nostro lavoro e dunque sulle nostre vite. Stiamo vivendo immersi in questi doppi legami che ci complicano le cose.

Nessuna di queste sfide è di facile soluzione dal punto di vista emotivo.

Tuttavia quello che sappiamo delle crisi esistenziali è che le istanze esistenziali esistono sempre dentro di noi, solo che quando sono sullo sfondo riusciamo a funzionare molto meglio nel presente, di quando sono in luce e costantemente in primo piano nel nostro quotidiano.

E ora sono decisamente ben in vista per tutti noi.

La domanda qui è: come facciamo ad accogliere tutte queste domande esistenziali presenti e lentamente ricondurle sullo sfondo?

Uno dei modi è la condivisione della propria esperienza interna. Uno dei concetti principali che vorrei affrontare è il concetto di “Embedded suffering”, inteso come un tipo di sofferenza che è come “incapsulata” e “impressa” nel corpo e nella mente, che non è possibile mentalizzare e su cui non è possibile riflettere. Questo è il tipo di sofferenza che dobbiamo cercare di cambiare dentro noi stessi e nei nostri pazienti.

Il dolore bloccato non include speranza e riflessione. Non include nessun tipo di prospettiva o capacità di regolazione. Nella sofferenza traumatica ci sentiamo come nel passato: impotenti e senza possibilità alcuna di essere aiutati, sentiamo un bisogno disperato di liberarcene e può essere legato al nostro stesso dolore o alla sofferenza di amici o familiari. In questo tipo di dolore la sofferenza è percepita come intollerabile e questo alimenta l'urgenza di fare qualcosa per risolverlo, anziché la possibilità di ascoltare le emozioni, accettarle e comprenderle.

La reazione più normale che abbiamo come terapeuti di fronte a questa disperazione è l'istinto di salvare o di interrompere quella sofferenza che si manifesta davanti a noi, ma proprio questo istinto può costituire un grande blocco e circolo vizioso nella relazione terapeutica e nella possibilità di guarigione del paziente.

Quello che aiuta di solito nella mia esperienza è la possibilità di spostarsi dalla modalità di Embedded Suffering, bloccata nell'intensità del dolore del passato, ad una modalità di Embodied Self (Cook-Cottone; 2006, 2015a, 2015b), in cui cioè la sofferenza viene percepita e incarnata nel corpo nel presente e nel qui ed ora: la sofferenza incarnata permette di sentire il dolore restando contemporaneamente consapevoli nel qui ed ora delle proprie emozioni, pensieri e sensazioni, anche talora sgradevoli, che questo comporta, ma da una prospettiva presente e con le risorse del presente. La sfida qui è cercare di restare profondamente ancorati al presente, anche quando il presente è difficile.

Questo coinvolge il concetto della Realizzazione: la capacità cioè di accettare la realtà esattamente per quello che è o è stata. Il che potrebbe significare di non trascorrere troppo tempo a fare previsioni sul futuro, perchè il futuro potrebbe essere catastrofico, nè di non trascorrere troppo tempo a idealizzare il passato che avevamo prima della pandemia.

L'obiettivo è coltivare una speranza realistica, nel senso di una speranza che sia profondamente ancorata al presente. “Non è importante quello che ti succede, ma come rispondi a quello che ti succede” (Victor Frankl).

Essere un terapeuta incarnato significa portare nella terapia il proprio essere umani, la propria vulnerabilità, fallibilità, imperfezione, la propria disponibilità a stare in un flusso in continua evoluzione. Non ha senso porci come una persona che sta riuscendo ad affrontare tutto al 100%.

Come “essere” e come “stare” con i pazienti? Alcuni esempi.

  • Focalizzarci sul processo piuttosto che sul contenuto:

    es: “Condivido i suoi sentimenti di tristezza e paura, è qualcosa che tutti stiamo vivendo.” e NON “Sto facendo anche io fatica e funziono a mala pena, perchè sono molto ansiosa/o.”

    es: “E'diffcile essere presenti come vorremmo in questo momento. Che effetto ti fa stare qui con me sapendo che entrambi stiamo facendo del nostro meglio, anche se non è il 100%?” e NON “Non posso essere davvero presente con te in questo momento!”.

  • Cerchiamo di non colludere con il paziente nella catastrofizzazione per troppo tempo, ma torniamo a esplorare le risorse insieme:

    es: “Come è per te stare qui con me in questo momento, cercando modi di affrontare la situazione?”, “Quali cose ti aiutano di più durante la giornata?”, “Raccontami di un momento in questi giorni in cui ti sei sentito connesso o supportato da qualcuno?”, “Dimmi di un momento in cui sei riuscito/a a raggiungere qualcuno e aiutarlo in questa settimana?”

  • Focalizziamoci sull'esperienza condivisa:

    es: “Siamo tutti qui nella stessa situazione”; “Come possiamo tratttenere e conservare questa sensazione di essere insieme qui durante il resto della settimana?”

  • Focalizziamoci sull'esperienza universale:

    es: “Ci siamo tutti dentro e stiamo tutti vivendo emozioni e sentimenti simili in questa fase.”

  • Stimoliamo azioni di speranza: es “Troveremo insieme una soluzione a tutto questo.”

    Trasmettiamo l'idea che non stiamo ignorando quello che sta succedendo, ma che stiamo solo cercando di spostare l'attenzione del paziente verso un sistema fisiologico ed emotivo più legato all'ingaggio sociale e alla connessione e più adattivo. (Rif. Teoria Polivagale, Porges).

    Altre risorse possibili che ognuno di noi può avere nella propria pratica clinica:

  • Risorse somatiche: abbraccio della farfalla per chi è abituato ad isare l'EMDR, Esercizio di respiro diaframmatico

  • Risorse Immaginative: guidare la mente in luoghi piacevoli o rilassanti, immaginari o reali, o con persone sicure per noi, con personaggi fantastici o persone della nostra vita

  • Routine regolare: nell'alimentazione, esercizio, sonno,..

  • Focalizzarsi su quello che è rimasto uguale: “es: ho il mio cane, ho la mia casa, ho gli stessi amici”

 

Aree di crescita: quali elementi di crescita avremo in questa esperienza?

Magari è presto per fare queste considerazioni, ma possiamo iniziare a riflettere su questo per prepararci a questo nelle fasi successive.

Che caratteristiche ha un Sè Incarnato (Embodied Self)?

Proviamo ad esplorare alcuni aspetti emotivi che potremmo trovare dentro di noi:

  • Livello di vitalità, interessi, curiosità: cosa posso imparare da questa esperienza?

  • come muoverci da qui: come posso rendere questa esperienza generativa per me o per gli altri nel mondo? Come posso dare più qualità alla mia esperienza quotidiana?

  • Integrità: come integrare questa esperienza nel mio copro e andare avanti?

  • Dignità: com eposso onorare la mia dignità e quella dei miei pazienti e del resto del mondo?

  • Spiritualità: come posso amplificare la mia spiritualità attraverso al religione o altro tipo di esperienze? Come renso significativa l amia esperienza con il moneo e nel mondo?

  • Etica: posso trovare un modo più accurato di rispettare la mia etica personale e professionale?

Su ognuna di queste aree di crescita è possibile lavorare a lungo e approfondire infinite variabili che per ognuno di noi possono essere più funzionali e più adattive. Quello che possiamo “fermare” nel seminario di oggi, sono solo alcuni ingredienti e attitudini fondamentali che saranno utili ad esplorare tutto quello che ci siamo detti e tutte le risorse che abbiamo pensato oggi:

  1. Intenzione Compassionevole: non vuol dire essere sempre compassionevoli, ma fare in modo che il nostro orizzonte di senso sia compassionevole; possiamo essere esausti enon riuscire, ma sarà importante a mantenere viva l'intenzione di esserlo il più possibile.

  2. Connessione con se e altri: impegno da mantenere, nei nostri confini, con costanza ed intenzione

  3. Vulnerabilità e Fallibilità: permetterci di essere imperfetti

  4. Risorse e resilienza.

Ognuno di questi ingredienti può portare a quello che mi piace chiamare un “Coinvolgimento incarnato” nel mondo (Embodied Engagement), come attitudine da coltivare anche solo con alcune piccole azioni quotidiane che possano essere incrementate nel tempo e che possano crescere ogni giorno con noi.

Connection-People